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Rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno in caso di precedenti penali. Solidarietà familiare e patteggiamento

Il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno, come pacificamente sostenuto in giurisprudenza (si veda Sentenza Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 aprile 2010, n. 2239), richiede la sussistenza di precisi presupposti, ricavabili dagli articoli 4, 5, comma 5, e 13, comma 2, del Testo Unico sull'Immigrazione. 

In concreto, si richiede la disponibilità di mezzi leciti di sussistenza, implicanti anche il possesso di un alloggio, regolare attività lavorativa e condotta di vita corretta, affinché lo straniero possa ritenersi immune, in via prognostica, da ogni possibile pericolosità sociale.

Tra le circostanze che precludono il rilascio del permesso di soggiorno, e dunque anche il rinnovo, l'art. 4, comma 3, del suddetto Testo Unico, pone poi espressamente il caso in cui lo straniero "risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'art. 380, commi 1 e 2 del codice di procedura penale, ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dall'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati, o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite".

Secondo la giurisprudenza prevalente, la condanna per uno dei reati di cui all'art. 4, comma 3, del Testo Unico sull'Immigrazione comporta in via generale il rifiuto automatico del permesso di soggiorno, come anche del suo rinnovo.

Tuttavia, bisogna rilevare come la Corte Costituzionale, in particolare in due occasioni (rispettivamente l'ordinanza 143 del 2007 e 378 del 2008, confermate nel contenuto nella sentenza n. 148 del 2008), nel ribadire che il cosiddetto automatismo espulsivo "non è altro che un riflesso del principio di stretta legalità che permea l'intera disciplina dell'immigrazione e che costituisce, anche per gli stranieri, presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di scongiurare possibili arbitri da parte dell'autorità amministrativa", abbia posto l'accento sulle innovazioni introdotte, in senso solidaristico, dai D. Lgs. n. 3 e 5 dell'8 gennaio 2007, rispettivamente di attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e della direttiva 2003/86/CE relativa al ricongiungimento familiare.

In particolare, si ricorda che il D. Lgs. n. 5 del 2007 ha tra l'altro aggiunto un periodo finale al comma 5, art. 5, del Testo Unico sull'Immigrazione, in base al quale per il rifiuto del rilascio, ovvero per la revoca o il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, nel caso di straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o di familiare ricongiunto "si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese di origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale", apportando analoga modifica, per quel che riguarda il provvedimento di espulsione, all'art. 13 del Testo Unico, con l'inserimento del comma 2-bis. 

Così, sulla scorta di tale premessa, di recente il Consiglio di Stato, con la sentenza 8 novembre 2012, n. 5695, ha escluso l'applicazione dell'automatismo del diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, visto il combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del Testo Unico sull'Immigrazione in riferimento al caso di una straniera cui il rinnovo era stato negato a causa di una condanna per un furto qualificato come aggravato, ma in realtà costituente un fatto di speciale tenuità.

Analogamente, con sentenza n. 5679 del 2012, il Consiglio di Stato ha ritenuto applicabili le disposizioni in materia di tutela del nucleo familiare di cui all'art. 5, comma 5, Testo Unico sull'Immigrazione, a prescindere dall'avvenuto esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, in favore di una straniera convivente con due figli minori nati in Italia.

Riguardo invece alla rilevanza da attribuire alla condanna penale emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. (c.d. patteggiamento), il dibattito giurisprudenziale può ritenersi risolto dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 148 del 2008, nella cui sede si è sottolineato che la regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione, e che tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede in materia un'ampia discrezionalità.

Per il Giudice delle leggi deve pertanto escludersi che sia manifestamente irragionevole condizionare l'ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio nazionale alla circostanza della mancata commissione di reati di non scarso rilievo, come quelli inerenti gli stupefacenti; né possono considerarsi irragionevoli:

  1. il fatto che non venga presa in considerazione la sussistenza delle condizioni per la concessione del beneficio della sospensione della pena, data la non coincidenza delle valutazioni sottese rispettivamente alla non esecuzione della pena e al giudizio di indesiderabilità dello straniero nel territorio italiano;
  2. la mancata previsione di uno specifico giudizio di pericolosità sociale dei singoli soggetti, costituendo l'automatismo espulsivo un riflesso del principio di stretta legalità che informa il sistema del diritto dell'immigrazione;
  3. l'emissione della condanna a seguito di patteggiamento, posto che la sentenza di applicazione su richiesta, salve diverse disposizioni di legge, è equiparata ad una normale sentenza di condanna.
 

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