Ricorso per la cittadinanza italiana
Lo straniero che ha richiesto la cittadinanza italiana deve necessariamente attivarsi, altrimenti rischia di dover attendere molto tempo, troppo.
Il problema principale è che molti stranieri non conoscono i loro diritti, né le opportunità che la legge offre per contrastare l'inerzia dell'amministrazione.
La legge (D.P.R. n. 362/94) fissava il termine massimo per la conclusione del procedimento relativo alla cittadinanza italiana in 730 giorni. Ciò nonostante, gran parte delle pratiche di cittadinanza rimanevano ferme sugli scaffali degli uffici amministrativi con tempi di attesa molto più lunghi.
Successivamente, per effetto del decreto Sicurezza (decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con legge 1 dicembre 2018, n. 132), il termine del procedimento si è elevato a 48 mesi.
Dopo ancora, il D.L. n. 130/2020 ha ridotto il temine a ventiquattro mesi (due anni) prorogabili al massimo a trentasei mesi (tre anni). Questo nuovo termine, ricordiamo, si applica solo per le istanze di cittadinanza presentate a partire dal 19 dicembre 2020, ossia la data di entrata in vigore della legge di conversione di tale decreto.
Dunque il termine attuale è di 2 anni prorogabili fino a un massimo di 3 anni dalla Pubblica Amministrazione.
Lo straniero non è a conoscenza del fatto che, scaduto il suddetto termine, prima di due anni, adesso di quattro, la legge prevede degli strumenti per velocizzare i tempi di attesa della cittadinanza italiana.
Quali sono i rimedi che la legge prevede per lo straniero che ha richiesto la cittadinanza italiana?
Nel caso sia stata proposta domanda di cittadinanza per residenza, decorsi 4 anni dalla data della domanda, il richiedente può proporre ricorso avverso il silenzio della Pubblica Amministrazione, affinché quest'ultima sia obbligata dal Giudice a concludere il procedimento entro un breve termine.
Va considerato un aspetto essenziale: molto spesso, sempre che l'istante abbia i requisiti prescritti dalla legge (residenza continuativa, reddito adeguato, assenza precedenti penali, integrazione nella comunità nazionale), il Ministero dell'Interno concede autonomamente la cittadinanza prima ancora che sia stata fissata l'udienza al TAR.
Normalmente, quindi, dopo aver proposto il ricorso, i Clienti vedono avanzare improvvisamente lo stato delle proprie pratiche sul sito del Ministero dell'Interno, fino a raggiungere lo step conclusivo: il tutto in tempi molto contenuti.
Il ricorso al Tar, infatti, obbliga di fatto l'Amministrazione ad inserire la pratica di cittadinanza tra quelle prioritarie, per evitare di subire la sentenza di condanna, che implicherebbe responsabilità civili e disciplinari per i pubblici funzionari.
Molti stranieri ci chiedono quali sono i tempi del ricorso al Tar. Al riguardo, va detto che l'udienza di discussione del ricorso viene fissata dopo diversi mesi, ma questo è un falso problema.
Infatti, per esperienza consolidata, possiamo garantire che quando si arriva all'udienza la pratica di cittadinanza, per effetto del ricorso, nella stragrande maggioranza dei casi è già stata conclusa spontaneamente dal Ministero dell'Interno.
Leggi la sentenza emessa dal Tar Lazio in uno dei tanti casi seguiti dall'Avvocato Francesco Boschetti, dove si può vedere che dopo la presentazione del ricorso l'Amministrazione ha sveltito la procedura, al punto che il giorno dell'udienza il decreto era stato già inviato per la firma.
Attenzione ai termini
Il ricorso al Tar ha dei termini precisi e inderogabili: contro il silenzio sulla domanda di cittadinanza per residenza, il ricorso può essere presentato entro 1 anno dalla scadenza del termine dei 730 giorni, successivamente, come detto, prolungato a 48 mesi e poi nuovamente ridotto a 36 mesi.
Ad es., se la domanda di cittadinanza italiana è stata proposta il 1° DICEMBRE 2019, il termine per la conclusione del procedimento - che all'epoca era di 48 mesi - scade il 1° DICEMBRE 2023. Questo vuol dire che il ricorso può essere proposto entro e non oltre il 1° DICEMBRE 2024.
E se il termine per proporre il ricorso al TAR è scaduto? In tal caso, poiché l'ultima cosa da fare è rimanere con le mani in mano ad attendere che l'Amministrazione concluda il procedimento, consigliamo al cliente di avviare con il nostro studio una pratica di sollecito.
Come si fa il ricorso al Tar
Come fare il ricorso al Tar è una questione che essenzialmente riguarda l'avvocato, il quale, munito di procura speciale, deve prima di tutto notificare il ricorso al Ministero dell'Interno, presso l'Avvocatura Generale dello Stato.
I termini per notificare il ricorso al Tar, come già specificato, sono un anno dalla scadenza del termine, che non è più 730 giorni, né di 48 mesi, bensì di 36 mesi.
Entro i 15 giorni successivi dalla notifica (termine dimezzato rispetto a quello ordinario, trattandosi di procedimenti sul silenzio amministrativo), il ricorso e i relativi documenti vengono depositati telematicamente al Tar, che assegna il numero di registro generale del ricorso.
Al riguardo, bisogna evidenziare che dal 1 gennaio 2017 è entrato in vigore il processo amministrativo telematico, per cui anche il deposito iniziale del ricorso introduttivo e degli altri documenti viene oggi effettuato unicamente in forma telematica, con le modalità indicate sul sito della giustizia amministrativa.
Inizia così la procedura del ricorso al Tar, i cui tempi poco interessano, perché l'obiettivo - come si è già notato - è di far arrivare la decisione sulla cittadinanza prima ancora che venga fissata l'udienza.
E' un aspetto fondamentale, perché molti stranieri ci chiedono con il ricorso al Tar quali siano i tempi di risposta: con il nostro studio, infatti, al ricorso si accompagna un'attività di sollecitazione continua che ha come finalità quella di velocizzare ulteriormente il procedimento.
Il risultato, come detto, è che se il richiedente possiede i requisiti di legge, la sua cittadinanza arriva con largo anticipo rispetto all'udienza fissata dal Tar.
Esiste per il ricorso al Tar un fac simile? Anche questo non ci interessa. Noi, almeno, non utilizziamo fac simile per il ricorso al Tar: in base all'entità del ritardo e dei motivi di urgenza del richiedente, cambia il tipo di ricorso che presentiamo.
Un caso particolare, è quello del richiedente il cui figlio sta per diventare maggiorenne: in tal caso è possibile presentare anche un'istanza cautelare, con l'effetto di ridurre ulteriormente i tempi di attesa della cittadinanza.
Qual è il Tar competente a ricevere il ricorso?
Sui ricorsi al Tar avverso il silenzio in materia di cittadinanza italiana, ricordiamo che in base alla sentenza n. 6648/2013 del Consiglio di Stato, il Giudice competente è sempre il TAR del LAZIO.
Pertanto, lo studio legale Boschetti, avendo sede a Roma, può proporre ricorso anche per gli stranieri che hanno richiesto la cittadinanza in altre città d'Italia.
La competenza del TAR LAZIO per tutte le pratiche di diniego della cittadinanza, o di silenzio-inadempimento della Pubblica Amministrazione, si fonda sul fatto che la concessione della cittadinanza italiana è atto dell’amministrazione centrale dello Stato e produce effetti non territorialmente limitati (cfr. art 13, commi 1 e 3, c.p.a.).
Limitatamente ai casi di domanda di cittadinanza per matrimonio ex art. 5 Legge 5 febbraio 1992 n. 91
Contrariamente alla concessione della cittadinanza per residenza e in generale per "naturalizzazione", laddove invece la domanda fosse stata presentata per matrimonio, prima del decreto Sicurezza, decorsi 2 anni, si configuravav a capo dell'istante un vero e proprio diritto soggettivo, da far valere necessariamente dinanzi al Giudice Ordinario.
Qui non si poneva il problema dei tempi stretti per fare il ricorso al Tar. Infatti, trattandosi di diritto soggettivo imprescrittibile, l'azione davanti al Giudice Civile poteva essere presentata in ogni momento.
L'unica eccezione si ha quando l'amministrazione avesse negato la cittadinanza esercitando il potere discrezionale di valutare l'esistenza di motivi inerenti alla sicurezza dello Stato.
In questo caso rimaneva competente il Giudice Amministrativo, trattandosi di esercizio di potere discrezionale e quindi non più di diritto soggettivo dell'istante, bensì di un interesse legittimo.
Ora, con l'abrogazione del comma 2 dell'art. 8, ad opera del decreto Sicurezza (d.l. 113/2018), non esiste più alcun diritto acquisito alla cittadinanza per il mero silenzio della Pubblica Amministrazione.
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