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Mezzi di sussistenza e rischio migratorio

Chi richiede un visto d'ingresso per l’Italia sa benissimo che occorre dimostrare, tra l’altro, "la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e, fatta eccezione per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, anche per il ritorno nel Paese di provenienza” (art. 4, comma 3, D. Lgs. n. 286/98).

A quantificare l'entità dei mezzi di sussistenza necessari per l'ingresso ed il soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato, come sopra evidenziato, è la Direttiva del 1° marzo 2000 del Ministero dell’Interno, emanata in attuazione del suddetto art. 4, comma 3, del Testo Unico. Spesso capita che gli interessati, nel proprio Stato di origine, dispongano di una situazione precaria dal punto di vista economico (es. mancanza di lavoro, redditi troppo bassi, conti correnti con saldi vicini allo zero, ecc.).

Tuttavia, convinti che dal punto di vista economico l’unica condizione per ottenere il visto sia quella di integrare - e dimostrare - il requisito dei “mezzi di sussistenza”, come procedono?

Raccolta tutta la documentazione relativa allo scopo e alle condizioni del soggiorno (es. lettera d’invito e ospitalità di cittadino italiano o regolarmente soggiornante nel territorio nazionale), stipulata l’assicurazione sanitaria, ed eventualmente ottenuta la fideiussione bancaria, nell’imminenza della domanda effettuano - il più delle volte con l’intervento di terzi donatori - versamenti sul proprio conto corrente bancario, nella misura richiesta per integrare l'importo minimo richiesto dalla suddetta direttiva ministeriale. 

Senonché, convinti di avere tutte le carte in regola, si vedono consegnare un provvedimento di rigetto.

L’errore è a monte: gli stranieri, probabilmente male assistiti nella procedura, confondono il requisito dei mezzi di sussistenza con quello del rischio migratorio: quest’ultimo, lo ricordiamo, consiste nel rischio - la cui valutazione è rimessa alla discrezionalità dei Consolati - che il richiedente emigri clandestinamente nel territorio degli Stati membri, utilizzando il visto come pretesto e strumento per stabilirsi illegalmente e in modo permanente sul territorio anzidetto.

L’obbligo di rifiutare il visto in presenza del rischio migratorio discende dal Codice Comunitario dei visti emanato con Regolamento-Ce n. 819/2009, dalla Decisione della Commissione UE del 19.03.2010, istitutiva del Manuale per il trattamento delle domande di visto, e a livello nazionale dal decreto del Ministero degli Affari Esteri n. 850 del 11/05/2001.

Riguardo alle rimesse bancarie, va evidenziato che il Manuale per il trattamento delle domande di visto, appena citato, invita i Consolati ad esaminare le risorse economiche del richiedente in un lasso temporale di almeno 3 mesi. Ciò perché, come detto, al di là del semplice fatto che al momento della presentazione della domanda di visto l’istante disponga delle risorse economiche sufficienti per entrare in Italia, soggiornarvi ed uscirvi (anche eventualmente tramite garanzia prestata da terzi), il Consolato è tenuto a verificare se la situazione socio-economica del richiedente nel proprio Paese.

Tale esame può essere svolto anche facendo riferimento ai saldi medi presenti sul conto corrente dello straniero in un lasso temporale significativo, per verificare che essi siano adeguati e sufficientemente stabili per scongiurare il rischio migratorio. Come noto agli esperti della materia, i Consolati italiani, chiamati in giudizio, contestano sempre le rimesse effettuate nell'imminenza della domanda di visto, e il Tribunale Amministrativo dà loro spesso ragione. Il dato che si spera di aver chiarito, è che il richiedente deve dimostrare di possedere una situazione stabile, anche economicamente, nel proprio Paese.

Si evidenzia, al riguardo, che il versamento sul conto corrente a ridosso della presentazione della domanda di visto, se pure è idoneo ad integrare il requisito economico dei mezzi di sussistenza, non impedisce tuttavia all'Amministrazione di ritenere fondato il "rischio migratorio", e dunque di emettere un provvedimento di rigetto.

 

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