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Il diniego del visto di breve durata: un freno al rischio migratorio, a volte utilizzato con eccessiva severità

Nel contesto italiano ed europeo attuale, dove la materia dell’immigrazione rappresenta motivo di tensioni sociali e politiche, è sempre dietro l’angolo, per lo straniero, il rischio di subire il diniego del visto.

Ottenere un visto d'ingresso per l'Italia, infatti, è sempre più complicato, in particolare per gli stranieri appartenenti agli Stati considerati a forte rischio di immigrazione clandestina (Iran, Iraq, Pakistan, ecc.).

Mentre l’ingresso per lavoro – autonomo, subordinato e stagionale - è regolato direttamente dal Governo con il decreto annuale (flussi), l’opportunità di concedere visti di breve durata (fino a 90 giorni) rientra di fatto nel potere discrezionale delle Ambasciate italiane. 

Le Ambasciate si trovano in questo modo ad esercitare un potere tendenzialmente politico, poiché il loro operato può interagire con le politiche migratorie dei flussi d’ingresso, considerato che lo straniero ammesso in Italia potrebbe anche violare la scadenza del visto e stabilirsi clandestinamente nel territorio nazionale.

Il diniego del visto di breve durata: un freno al rischio migratorio, a volte utilizzato con eccessiva severità

E’ questo il motivo (o almeno uno dei motivi) per cui negli ultimi anni si registra un atteggiamento sempre più restrittivo delle Ambasciate italiane, le quali si mostrano particolarmente rigide nel decidere le domande di visto di breve durata, in particolare le domande di visto turistico, per visita o per studi extra-universitari.

L’Amministrazione diplomatico-consolare, in molti casi, contesta il c.d. rischio migratorio, ovvero il rischio che lo straniero utilizzi il visto di breve durata strumentalmente, per insediarsi clandestinamente, in pianta stabile, nel territorio nazionale.

Dunque, il timore delle Autorità è che lo straniero possa non rispettare la durata del visto e trattenersi irregolarmente in Italia.

Ai fini della valutazione del rischio migratorio, l’art. 7.12 della decisione della Commissione europea del 19.3.2010, che ha istituito il manuale per il trattamento delle domande di visto e la modifica dei visti già rilasciati, dispone che i Consolati sono tenuti a valutare:

  • Il rischio che il richiedente immigri illegalmente nel territorio degli Stati membri (ad es. il rischio che possa utilizzare fini turistici, professionali, di studio o di visita a familiari come pretesto per stabilirsi illegalmente, in modo permanente, sul territorio degli Stati membri;
  • l’intenzione del richiedente di lasciare il territorio degli stati membri prima della scadenza del visto richiesto.

I Consolati devono tracciare i profili dei richiedenti che presentano un rischio particolare, in funzione delle condizioni e circostanze locali e tenendo conto anche della situazione generale del Paese di residenza (ad es. zone politicamente instabili, alto livello di disoccupazione, povertà diffusa).

Definito il quadro generale, deve poi essere valutata la posizione individuale del richiedente, e pertanto:

  • I vincoli familiari o altri legami personali nel Paese di residenza;
  • i vincoli familiari o altri legami personali negli Stati membri;
  • lo stato civile;
  • la situazione lavorativa (livello salariale, se lavoratore dipendente);
  • la regolarità delle entrate (lavoro dipendente, lavoro autonomo, pensione, redditi da investimenti, ecc.) del richiedente o del coniuge, dei figli o delle persone a carico;
  • il livello del reddito;
  • lo status sociale nel Paese di residenza (ad esempio, eletto a una carica pubblica, rappresentante di una ONG, professione di alto status sociale come avvocato, medico, docente universitario);
  • il possesso di una casa o di un bene immobile.

Prosegue l’art. 7.12, La situazione socioeconomica può anche comportare aspetti divergenti: un richiedente disoccupato può avere una situazione finanziaria molto stabile e un richiedente ben retribuito può avere intenzione di immigrare illegalmente per ragioni personali. Per garantire una valutazione obiettiva bisogna quindi prendere in considerazione tutti gli elementi.

Inoltre, bisogna valutare questi ulteriori aspetti:

  • Precedenti soggiorni irregolari negli Stati membri;
  • precedenti abusi del sistema di sicurezza sociale degli Stati membri;
  • successione di varie domande di visto (per soggiorni di breve o di lunga durata) presentate per scopi diversi e senza rapporto fra loro;
  • credibilità del soggetto ospitante, quando viene presentata una lettera d’invito.

Il rischio migratorio è preso in massima considerazione anche dalla normativa nazionale; tra tutti, il Decreto del Ministero degli Affari Esteri n. 850/2011, all’art. 4, comma 1°, precisa che “è richiesto alle rappresentanze diplomatico-consolari di prestare particolare attenzione alla valutazione se il richiedente presenti un rischio di immigrazione illegale ed offra adeguate garanzie sull’uscita dal territorio degli Stati membri alla scadenza del visto richiesto”.

E inoltre, il comma, 2°, precisa che “ai fini di tale valutazione, di esclusiva competenza della rappresentanza diplomatica o consolare, può essere richiesta l’esibizione di apposita documentazione, relativa anche allo scopo del viaggio ed alla condizione socio-economica del richiedente.”

Fondamentale rilevanza, infine - chiude così la disposizione appena rilevata - “riveste altresì il colloquio con il richiedente il visto”.

Capita a volte che il diniego del visto si fondi sull’assunto secondo cui le informazioni fornite dal ricorrente per giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno non sarebbero attendibili, ma che poi il rischio migratorio venga contestato nel bel mezzo del processo davanti al Tar, quando l’Amministrazione deposita una memoria che di fatto svolge la funzione della motivazione vera e propria (del tutto assente, nello stereotipato modulo previsto dal Codice dei Visti).

Eppure sul modulo Schengen non era barrato il relativo riquadro: “La sua intenzione di lasciare il territorio dello Stato non può essere provata con certezza”.

Si tratta di un’integrazione di motivazione non ammessa, in quanto postuma? No! Se il riquadro del rischio migratorio nel modulo Schengen non era segnato, può l’Amministrazione, soltanto nel corso del processo, aggiungere questo motivo a fondamento del diniego? Sì!

Può sembrare strano, ingiusto, se non addirittura illegale. Ma sembra che sia la legge a consentirlo.

L’art. 4 del Testo Unico sull’Immigrazione (Ingresso nel territorio dello Stato), infatti, prevede che in deroga a quanto stabilito dalla legge 7 agosto 1990 n. 241, e successive modificazioni, per motivi di sicurezza o di ordine pubblico il diniego non debba essere motivato (salvo si tratti di domanda di visto per motivi di lavoro subordinato, stagionale, autonomo, di lavoro nei casi particolari di cui all’art. 27, per ricongiungimento familiare, per cure mediche, di studio per accesso ai corsi delle università).

Ciò significa che nell’ipotesi del visto turistico o di studio (per la frequentazione di corsi non universitari), le più ricorrenti nella prassi, l’Ambasciata non ha l’obbligo di motivare il “rischio migratorio”, poiché l’immigrazione clandestina, del cui rischio si controverte, può considerarsi motivo di “ordine pubblico”.

E’ vero che nella maggior parte dei casi le Ambasciate barrano la voce corrispondente al rischio migratorio nel modulo di diniego. Ciò, tuttavia, non significa che tale motivo, se non indicato sul modulo del diniego, non possa poi essere “rispolverato” dall’Amministrazione durante il giudizio al Tar.

Quanto abbiamo riferito corrisponde all’orientamento assolutamente prevalente del Tar Lazio, unico Tribunale competente a decidere i ricorsi avverso il diniego del visto d’ingresso (salvo che per motivi familiari: in tal caso, la competenza è del giudice ordinario).

Spetta all’avvocato, allora, effettuare un’analisi preventiva sulla possibilità di contestazione del rischio migratorio, per non lasciarsi trovare impreparato, o addirittura dissuadere il cliente dal voler presentare il ricorso al Tar, se la possibile tesi del rischio migratorio appare già in partenza condivisibile.

Per questo motivo, il nostro Studio, prima di ricevere l’incarico, si premura di ricevere tutti i dati dal possibile assistito, che possano consentire una valutazione circa l’assenza del rischio migratorio, oltre che degli altri requisiti per l'ingresso e il soggiorno in Italia.

 

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