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Il requisito della residenza "anagrafica" nelle domande di cittadinanza italiana

Molte volte si presentano casi di stranieri che si trovano in Italia da almeno dieci anni con regolare permesso di soggiorno, e vorrebbero richiedere la cittadinanza italiana per naturalizzazione, ma non possono farlo perché all’anagrafe la loro residenza si restringe ad un tempo inferiore rispetto ai dieci anni previsti come limite necessario dalla legge.
Nel gergo si suole parlare di “buco di residenza”, ovvero di quelle situazioni in cui lo straniero, durante il maturare dei dieci anni di residenza sul territorio nazionale, è stato cancellato dai registri dell’anagrafe del proprio comune con un decreto di irreperibilità o cancellazione anagrafica, per cui la residenza stessa risulta interrotta, oppure non ha provveduto ad iscriversi all’anagrafe con immediatezza, una volta ottenuto il permesso di soggiorno. Anche in questo caso, i tempi della presenza effettiva non coincidono con quelli della residenza legale, attestata dai registri anagrafici. 

Cosa succede in questi casi? Può presentare domanda di cittadinanza lo straniero che è presente legalmente in Italia da almeno dieci anni, ma non per tutti risulta iscritto all’anagrafe? Eventualmene, allegando documentazione che attesti la presenza continuativa in Italia, come certificati universitari, buste paga, ecc.?

La risposta del Tar Lazio è categorica e costante: “no”. Ad es., la sentenza n. 9747/2014, Sez. II^ Quarter, del 29 maggio 2014, ha precisato che la residenza, per potersi considerare “legale”, così come prescrive la normativa di riferimento, “non può prescindere dall'iscrizione anagrafica, la quale rappresenta un requisito richiesto dalla legge, alla cui assenza non è possibile ovviare mediante la produzione di dati ed elementi atti a comprovare aliunde la presenza sul territorio”.

L’orientamento è pressoché consolidato, per cui cerchiamo di dissuadere il cliente che intende proporre domanda di cittadinanza per residenza, ex art. 9 Legge n. 91/1992, se la sua residenza – almeno decennale – continuativa e ininterrotta, non figura tale da regolare iscrizione anagrafica.

Le cose stanno diversamente, invece, riguardo all’acquisto della cittadinanza per ius soli. Sappiamo che la persona nata in Italia da cittadini stranieri, raggiunta l’età di 18 anni, ed entro un anno da tale data, può chiedere il riconoscimento della cittadinanza italiana. La condizione è che l'interessato abbia risieduto sin dalla nascita, ininterrottamente, nel territorio dello Stato.

Al riguardo, il Tar Lazio, Sezione II^ Quater 9854/2014 del 26 giugno 2014, ha evidenziato che il requisito della ininterrotta permanenza nel territorio dello Stato, per i soli minori, deve essere valutato – secondo quanto prescrive la circolare ministeriale n. 22 del 2007 – con maggiore elasticità.

La diversità di trattamento rispetto ai casi rappresentati all’inizio si fonda sulla necessità di evitare che eventuali omissioni o ritardi nell’iscrizione anagrafica da parte dei soggetti esercenti la patria potestà e non imputabili al minore possano recargli danno. Tale posizione è stata assunta dal Ministero anche alla luce dell’orientamento in ambito internazionale volto alla tutela in via primaria degli interessi del minore.

La stessa circolare, pertanto, afferma che l’iscrizione tardiva di un minore presso un comune italiano può considerarsi non pregiudizievole ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 4, comma 2 della l. 91/92, ove vi sia una documentazione atta a dimostrare la presenza del minore nel nostro Pese nel periodo antecedente la regolarizzazione anagrafica. La circolare menziona, a titolo di esempio, tra gli altri documenti, le vaccinazioni.

A ciò si aggiunga, per mera completezza giacché si tratta comunque di normativa sopravvenuta ai fatti, che recentemente il c.d. decreto del fare d.l. n. 69 del 2013, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, all’art. 33, ha recepito il contenuto della circolare del 2007, dettando misure di semplificazione ai fini del conseguimento della cittadinanza ex art. 4, comma 2, l. 91/1992.

Esso ha infatti previsto la non imputabilità all’interessato di eventuali inadempimenti da parte dei genitori o degli uffici dell’amministrazione ai fini dell’accertamento della residenza ininterrotta in Italia , quando questi possa dimostrare il possesso dei requisiti con ogni altra documentazione.

 

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