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Quando la donna perdeva automaticamente la cittadinanza italiana prima del 1948

Sempre più attuale è il tema della trasmissione della cittadinanza iure sanguinis per linea materna.

Ricordiamo che la donna italiana, ai sensi della legge allora applicabile (la n. 555 del 1912) perdeva la cittadinanza automaticamente e involontariamente per aver contratto matrimonio con cittadino straniero il cui ordinamente prevedesse, quale effetto automatico del matrimonio, la trasmissione della cittadinanza dal marito alla moglie. Ciò accadeva ad esempio nel Regno Unito, sulla base di una legge del 1919, per la quale, il cittadino inglese che si coniugava con cittadina straniera (nel nostro caso, italiana) trasferiva automaticamente alla moglie la propria cittadinanza britannica.

Nel 1975, l'art. 10 della legge italiana n. 555 del 1912, che riportiamo testualmente ("La donna cittadina che si marita ad uno straniero perde la cittadinanza italiana, sempreché il marito possieda una cittadinanza che per il fatto del matrimonio a lei si comunichi") è stata dichiarata incostituzionale.

Successivamente, nel 1983, è stata dichiarata incostituzionale altresì la norma che stabiliva che soltanto l'uomo potesse trasmettere ai figli la cittadinanza italiana, ovvero l'art. 1, n. 1, della medesima legge n. 555 del 1912.

In generale sappiamo che le norme dichiarate incostituzionali cessano di avere efficacia dall'entrata in vigore della Costituzione italiana, ovvero dal 1° gennaio 1948.

Qui si crea una spaccatura nella materia della cittadinanza iure sanguinis: l'amministrazione (consolati e/o comuni), in difetto di una riforma di legge, continuano ad applicare gli artt. 1 e 10 della legge del 1912, dichiarati incostituzionali, a tutte le situazioni giuridiche fino al 1° gennaio 1948. Quindi, in sostanza, se la donna italiana risulta essersi coniugata con cittadino britannico prima del 1948, per l'amministrazione ella ha perso la cittadinanza, non la recupera e non la trasmette al discendente.

Allo stesso tempo, se la donna italiana, coniugata con cittadino straniero (per il cui ordinamento non trasmetteva la cittadinanza automaticamente per effetto del matrimonio, ad es. del Brasile) ha avuto il figlio prima del 1948, comunque non può aver trasmesso la cittadinanza perché la legge non le consentiva di trasmettere la cittadinanza, riservando la trasmissione dello status civitatis al padre. 

Di contro, se il matrimonio con lo straniero (es. britannico) o la nascita del figlio di donna italiana sono successivi al 1948, per l'amministrazione trova applicazione il nuovo quadro normativo determinato dalle disposizioni di illegittimità costituzionale del 1975 e del 1983, e pertanto la cittadinanza deve essere riconosciuta legittimamente trasmessa dalla donna italiana al discendente.

La giurisprudenza, invece, dopo un lungo e acceso contrasto, con la nota sentenza della Corte di Cassazione n. 4466 del 2009, ha stabilito che le norme dichiarate incostituzionali, ovvero quelle che discriminavano la donna sotto il profilo della trasmissione, mantenimento e acquisizione della cittadinanza, devono essere ritenute inefficaci ad origine, poiché lo stato di cittadino “costituisce una qualità essenziale della persona, con caratteri d’assolutezza, originarietà, indisponibilità ed imprescrittibilità, che lo rendono giustiziabile in ogni tempo e di regola non definibile come esaurito o chiuso, se non quando risulti denegato o riconosciuto da sentenza passata in giudicato”.

Il risultato è il seguente: l'Amministrazione concede la cittadinanza se la donna che trasmette la cittadinanza possedeva lo status di cittadina alla data del 1° gennaio 1948. Pertanto, non deve trattarsi di donna coniugata prima del 1948 con un cittadino straniero il cui ordinamento prevedeva l'automatica trasmissione della cittadinanza, così come il figlio della donna medesima deve essere nato rigorosamente dopo il 1948.

La giurisprudenza risolve questa iniquità, consentendo anche ai nati da donna italiana prima del 1948, o ai discendenti di donne che avevano perso la cittadinanza prima del 1948 per aver contratto matrimonio con uno straniero il cui ordinamento prevedeva l'automatica trasmissione della cittadinanza per effetto del matrimonio, indipendentemente quindi da una dichiarazione di volontà. In questi casi, pertanto, l'interessato non ha altre vie che l'azione giudiziaria in Italia.

 

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