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Per lo straniero che richiede la cittadinanza, ogni precedente penale può rappresentare uno scoglio insuperabile

Il Tar Lazio Roma, sez. II quater, 26 settembre 2017, n. 9928, seppure in un caso che si è rivelato favorevole al ricorrente straniero, ha approfittato per consolidare l’orientamento secondo cui il provvedimento di concessione della cittadinanza per residenza è un atto altamente discrezionale, nell’adottare il quale, la pubblica amministrazione può valutare ogni elemento utile a dimostrare la reale corrispondenza tra l’interesse dello straniero ad ottenere lo status civitatis e quello dello Stato ad accogliere il medesimo nella propria comunità.

Succede spesso che lo straniero si vede recapitare un preavviso di diniego della cittadinanza per cause piuttosto tenui, reati prescritti o querele rimesse. Tale provvedimento appare, ad opinione di chi scrive, eccessivamente severo, specialmente in presenza di tanti altri elementi favorevoli all’aspirante cittadino, che di contro, dimostrano la sua compiuta integrazione nel territorio nazionale e, complessivamente, una condotta in linea con i principi del nostro ordinamento.

In particolare, un precedente penale, specie se risalente nel tempo, non può costituire una macchia indelebile e insuperabile; l’Amministrazione, in poche parole, dovrebbe valutare anche la condotta di vita adottata successivamente dallo straniero, la durata del suo legale soggiorno in Italia, ed effettuare un equo bilanciamento delle circostanze, mettendo da parte ogni criterio di valutazione meramente automatico.

Il Tar Lazio, con la suddetta sentenza, ha dunque ripetuto che “l’Amministrazione può valutare non solo precedenti penali del richiedente, ma anche solo quelli giudiziari o alcune condotte ritenute in contrasto con gli interessi della comunità nazionale”.

Il giudice amministrativo, avallando come detto un orientamento già presente e forte nella giurisprudenza, ha affermato che “Le valutazioni finalizzate all’accertamento di una responsabilità penale si pongono, infatti, su di un piano assolutamente differente ed autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell’adozione di un provvedimento amministrativo con la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale possono valutarsi negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali” (Tar Lazio, Sez. II quater, n. 7723 del 2012; 1833 del 2015).

Il Tar, inoltre, ha precisato che “La valutazione discrezionale posta a base della concessione della cittadinanza implica anche l'opportunità di evitare di inserire nella comunità nazionale chi, con la propria condotta, non mostri di condividere alcuni valori dell'ordinamento giuridico ritenuti meritevoli di tutela anche a livello penale, valori la cui trasgressione può ben essere considerata indicativa di un non adeguato livello di integrazione” (T.A.R. Lazio, Sez. II quater, n. 13542 del 2015).

Il ricorso aveva ad oggetto un provvedimento di diniego della cittadinanza per residenza, ex art. 9, legge 5 febbraio 1992 n. 91, motivato sulla base di una sentenza di condanna per la violazione degli articoli 582 e 110 c.p. e dell'articolo 4 della L. n. 110 del 1975, considerata "indice di inaffidabilità del ricorrente e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale", senza, peraltro, alcun riferimento concreto allo specifico fatto commesso.

Con ordinanza interlocutoria, il Tar aveva disposto a carico dell'Amministrazione l'onere istruttorio di produrre la documentazione sulla scorta della quale si era fondato il rigetto della richiesta di cittadinanza, in particolare i precedenti penali sulla base dei quali era stato effettuato il giudizio di mancata integrazione dello straniero.

In mancanza di adempimento da parte dell'Amministrazione, l'incombente istruttorio è stato reiterato con successiva ordinanza, nuovamente disattesa. All'udienza pubblica del 18 luglio 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Si legge nella motivazione della sentenza che la discrezionalità che caratterizza il procedimento amministrativo in oggetto si manifesta sostanzialmente in un potere valutativo circa la avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale sotto molteplici profili. Non è pertanto sufficiente la mera presenza dei requisiti previsti per la presentazione della domanda, ovvero che vi sia la residenza decennale (o per il periodo diverso, previsto dall’art. 9), né la titolarità di redditi adeguati al sostentamento dello straniero, occorre qualcosa di più.

Cosa?

“La concessione della cittadinanza italiana", Risponde il Tar Lazio, "lungi dal costituire per il richiedente una sorta di diritto che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi - rappresenta il frutto di una meticolosa ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri. Si tratta, altrimenti detto, di apprezzare, oltre alla residenza decennale ed all'inesistenza di fattori ostativi, la sussistenza di ulteriori elementi che giustificano la concessione e motivano "l'opportunità di tale concessione".

La discrezionalità dell'Amministrazione, pertanto, deve tradursi in un apprezzamento di opportunità circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta (Consiglio di Stato n. 5913 del 2011; n. 282 del 2010; Tar Lazio sez seconda quater n. 5665 del 2012; n. 3547 del 2012; n. 1833 del 2015).

In questa occasione, allo straniero è stata richiesta non solo la condotta negativa di non aver violato i precetti penali del nostro ordinamento, ma addirittura un elemento presuntivo, positivo, consistente nella condivisione dei valori della nostra Comunità: “E tanto anche al fine di evitare che, attraverso il conferimento dello status civitatis, lo straniero, che non rinuncia nel contempo alla cittadinanza di origine, possa divenire cittadino, pur non condividendo integralmente l'appartenenza alla Comunità nazionale”.

Diciamolo chiaramente. Il ricorso è stato accolto perché l'Amministrazione non ha provveduto a depositare alcuna documentazione relativa ai precedenti penali del ricorrente, neppure a seguito delle ordinanze istruttorie.

Il precedente penale, dunque, è rimasto un fatto affermato dall’Amministrazione, senza alcun sostegno documentale, e allora il Collegio, anche facendo applicazione della disposizione dell'art. 64 comma c.p.a., per cui il giudice può trarre argomenti di prova dal comportamento processuale delle parti, ha ritenuto non raggiunta la prova delle effettive circostanze di fatto sulla base delle quali l'Amministrazione ha tratto il proprio giudizio di inaffidabilità e mancata integrazione nella comunità nazionale. Poiché il provvedimento impugnato era basato su un assunto (l'emersione istruttoria di una sentenza di condanna tale da non rendere opportuna la concessione della cittadinanza) rivelatosi, di fatto, privo del minimo supporto probatorio, considerata la mancata allegazione della P.A., il ricorso è stato accolto.

La valutazione operata dal Ministero, quindi, è stata riconosciuta viziata sotto il profilo del difetto di motivazione e di istruttoria.

A fronte del risultato positivo del singolo, tuttavia, rimane salva la premessa giuridica, che lo scrivente ritiene tutt’altro che favorevole agli stranieri richiedenti la cittadinanza italiana, dalla quale risulta pressoché impossibile, per lo straniero che si è macchiato di un reato (anche di lieve entità), acquisire la cittadinanza dimostrando di aver cambiato registro e di essersi perfettamente integrato nella comunità nazionale.

 

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