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Azione giudiziale per via materna 1948 e posizione del coniuge del neo-cittadino

Molte persone dal Brasile ci chiedono se una volta effettuata con successo l’azione giudiziale per via materna 1948, il coniuge del discendente, in caso di matrimonio celebrato prima del 1983, possa ottenere anch’egli la cittadinanza italiana.

Per quale motivo? Perché le donne straniere coniugate con cittadini italiani prima del 21 aprile 1983 avrebbero acquisito la cittadinanza in modo automatico, per effetto del matrimonio, in base all'articolo 10 della legge 13 giugno 1912 n. 555, allora vigente.

La risposta, almeno a mio parere, è “assolutamente no”. Solo a pensarci è una follia giuridica, e vi spiego il perché.

E’ vero che la Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 87 del 1975, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 10, comma terzo, della legge 13 giugno 1912, n. 555, nella parte in cui prevedeva la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna, e non anche il comma 2, che così stabiliva: “La donna straniera che si marita ad un cittadino acquista la cittadinanza italiana. [...]”.

E’ altrettanto vero che tale ultima norma – almeno formalmente - è rimasta in vita fino all’entrata in vigore della legge n. 123 del 21 aprile 1983, la quale ha subordinato ad apposita istanza l’acquisto della cittadinanza da parte della donna straniera coniugata con cittadino italiano, e inoltre, all’art. 8, ha abrogato espressamente tutte le norme con essa incompatibili.

Tuttavia, si chiede di riflettere su un punto fondamentale. L’azione giudiziale per via materna è interamente fondata su due pronunce di illegittimità costituzionale:

  • la n. 87 del 1975, sopra citata, che lo ripetiamo, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della Legge n. 555 del 1912, nella parte in cui stabiliva la perdita della cittadinanza italiana, indipendentemente dal rilascio di un’espressa dichiarazione di volontà in tal senso, da parte della donna che si coniugava con cittadino straniero (laddove l’ordinamento straniero prevedeva l’automatica attribuzione alla moglie della cittadinanza del marito, per effetto del matrimonio);
  • la n. 30 del 1983, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 1, n. 1, della Legge n. 555 del 1912, nella parte in cui non prevedeva che fosse cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina.

Si costruisce il ricorso del 1948 argomentando che gli articoli abrogati configuravano un’inconcepibile disparità di trattamento, rispetto all’uomo cittadino, palesemente contraria ai princìpi costituzionali.

Ebbene, è inverosimile che si possa azionare un processo (quello del 48 per la via materna) fondato sul principio di parità tra uomo e donna in materia di cittadinanza e filiazione, e dunque sulla illegittimità delle norme della legge n. 555 del 1912 che violavano detti principi, per poi invocare altre norme della medesima legge, ​​​ discriminatorie come le prime, ma che in tal caso ​andrebbero​ a proprio beneficio.

Dunque, da una parte si invocherebbero le suddette pronunce della Corte Costituzionale affinché i discendenti per linea materna vengano riconosciuti cittadini italiani, mentre dall’altra, si tenterebbe di eludere le stesse pronunce per consentire l'acquisto della cittadinanza anche al coniuge del neo-cittadino, in un contesto di paradossale reviviscenza delle norme discriminatorie verso le donne.

Sarebbe una linea difensiva davvero bizzarra, se non inconcepibile.​

Il coniuge del neo-cittadino, al contrario, può richiedere la cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 5 della Legge n. 91 del 5 febbraio 1992.

 

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