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Quando lo straniero si vede modificare il cognome nel decreto di cittadinanza. Esiste il diritto a mantenere il cognome riportato sul passaporto?

La circolare n. 144424 del 23 dicembre 2013 del Ministero dell’Interno e il successivo parere del Consiglio di Stato n 850 del 22 febbraio 2013 hanno posto fine all’originaria regola di attribuire allo straniero naturalizzato italiano il nome e cognome che risultavano corretti per la legge italiana.

La normativa italiana, infatti, stabiliva che in caso di acquisto della cittadinanza italiana, veniva applicata la legge del nostro ordinamento, per cui, al di là delle generalità che figuravano sull’atto di nascita, allo straniero naturalizzato veniva attribuito, dopo il prenome, il cognome paterno.

Ciò tuttavia appariva contrario ai principi comunitari connessi alla cittadinanza europea, ossia al divieto di discriminazione effettuata in base alla nazionalità e alla libertà di circolazione di cui agli artt. 18, 20 e 21 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. 

Il diritto al nome, come interpretato in ambito comunitario, doveva quindi consentire all’interessato di conservare il prenome e cognome riportati nel proprio atto di nascita, a prescindere dalle leggi dello Stato dell’Unione Europea del quale egli acquisiva la cittadinanza.

Il nuovo orientamento si fondava anche sulle due famose sentenze della Corte di Giustizia Europea, n. C-148/02 del 2 ottobre 2003 e n. C-353/06 del 14 ottobre 2008, senza dimenticare la sentenza n. 13/1994 della Corte Costituzionale.

Oggi, dunque, allo straniero che acquista la cittadinanza italiana è riconosciuto il diritto al mantenimento delle generalità originarie, come figurano nell’atto di nascita.

Tuttavia vi è un problema che si verifica spesso nella prassi: il nome e cognome che figurano nell’atto di nascita non coincidono con quelli presenti sul passaporto dell’ex straniero, e quindi al nome e cognome con il quale egli risulta iscritto all’anagrafe.

Se il decreto di cittadinanza si rifà ai dati presenti nell’atto di nascita, il neo-cittadino si ritrova a dover perdere il nome e cognome con il quale è conosciuto nella comunità, e che rappresenta un importante segno distintivo della sua personalità.

Si sa, al riguardo, che in diversi Stati stranieri, al contrario di quanto succede in Italia, le modifiche delle generalità (ad esempio l’aggiunta del cognome coniugale al proprio) non vengono trascritte nell’atto di nascita, il cui scopo è solo quello di certificare l’evento-nascita, mentre irrilevanti sono le successive modifiche di stato.

In questi casi, rifacendosi fedelmente alle risultanze dell’atto di nascita, il decreto di concessione sarà emesso nei confronti di una persona indicata con generalità diverse rispetto quelle che appaiono nei vari documenti quali passaporto, carta d’identità e permesso di soggiorno.

E’ chiaro, quindi, che sostenere che le generalità di una persona siano quelle riportate nell’atto di nascita significa interpretare la documentazione rilasciata da altri Stati (in questo caso, all’atto di nascita) - di nuovo - secondo le norme italiane.

Sarebbe più corretto rispettare le generalità dello straniero, iscrivendolo come nuovo cittadino con nome e cognome riportati nel passaporto, con i quali la persona risulta già iscritta all’anagrafe italiana ed è conosciuta.

Altrimenti, si andrebbe contro le due sentenze della Corte di Giustizia Europea già citate, che impongono anche agli organi amministrativi, compreso l’ufficiale di stato civile, di disapplicare le norme interne incompatibili con le norme del Trattato CEE.

Il problema naturalmente non sorge quando il neo-cittadino è iscritto all’anagrafe con lo stesso nome e cognome risultanti nell’atto di nascita. Ma se così non è, come si risolve il contrasto tra la prassi amministrativa e il diritto del neo-cittadino a mantere la propria identità rappresentata dal nome con cui è conosciuto nella comunità di riferimento?

Ciò che l’interessato si sente dire dall'Amministrazione è che potrà, in un secondo momento, chiedere la rettifica del cognome con un'istanza da rivolgere alla Prefettura.

Tuttavia, non è da escludere che l’interesse a mantenere il proprio cognome sia così forte da indurre l’interessato a trasmettere all’ufficiale di stato civile una formale diffida ad apportare qualsiasi modifica del proprio cognome.

Tale diffida si fonderebbe sui seguenti argomenti:

- che il cognome preteso dall'interessato è lo stesso previsto dallo Stato di origine, che risulta ufficializzato nel suo passaporto, rilasciato da detto Stato;

- che tale cognome costituisce segno distintivo della propria personalità;  

- che l’eventuale variazione del cognome, con l’adozione di quello risultante nell’atto di nascita, comporterebbe una violazione dei principi comunitari in materia, in particolare delle sentenze della Corte di Giustizia Europea di cui sopra.

 

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