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Il potere discrezionale dell'Amministrazione nei procedimenti per la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, Legge n. 91/1992

L’esercizio del potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, in materia di concessione della cittadinanza per naturalizzazione ai sensi dell'art. 9, Legge n. 91 del 1992, presuppone una valutazione di opportunità che persegue l’interesse pubblico.

Tale interesse consiste nell’evitare che l’introduzione a titolo stabile di un soggetto nell’ordinamento nazionale possa procurare un danno allo Stato.

Per cui, al di là del possesso dei formali requisiti di legge, l’Amministrazione ha la possibilità di valutare nel complesso il grado di impatto che la concessione della cittadinanza italiana ad uno straniero in Italia potrebbe avere sull’ordinamento nazionale (così, Cons. Stato, Sez. VI, 8 agosto 2008, n. 3907). 

Il Consiglio di Stato ha altresì affermato che l’Amministrazione deve effettuare una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue reali possibilità di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale, ivi compresi quelli di solidarietà economica e sociale (Cons. Stato, Sez. III, 22 novembre 2011).

Si tratta pertanto di un atto rientrante tra quelli di “alta amministrazione”, cui consegue un altissimo grado di discrezionalità in capo all’Amministrazione.

L’elemento fondamentale che l’Amministrazione deve valutare è l’avvenuta integrazione dello straniero in Italia, tale da poterne affermare “la compiuta appartenenza alla comunità nazionale”.

Nonostante l’ampia discrezionalità sopra evidenziata, l'Amministrazione deve comunque adeguarsi ai principi di proporzionalità e ragionevolezza dell'azione amministrativa.

E' pertanto inficiato dal vizio di eccesso di potere il provvedimento di diniego della cittadinanza per residenza il cui supporto istruttorio non appaia completo, per essere stati trascurati gli elementi positivi a sostengo dell’istanza, dando prevalenza ad un unico dato negativo.

Sulla base di questo principio, con la sentenza del 18 febbraio 2011, n. 1037, il Consiglio di Stato ha disposto l’annullamento del provvedimento di rigetto della cittadinanza, poiché l’Amministrazione aveva ritenuto sussistere “elementi tali da non ritenere opportuna la concessione della cittadinanza”, laddove unico elemento negativo consisteva in un decreto penale di condanna emesso nei confronti del richiedente la cittadinanza per la commissione di un reato contravvenzionale, ovvero per guida in stato d’ebbrezza.

 

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