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Dopo 730 giorni non ho avuto nessuna risposta per la cittadinanza italiana, cosa faccio?

La procedura per la concessione della cittadinanza italiana per gli stranieri si articola in molteplici fasi e coinvolge più Amministrazioni ed enti pubblici, tra cui, in modo particolare:  Prefettura, Questura, Ministero dell’Interno, Comune di residenza.

Inoltre, tra i vari pareri che l'Amministrazione procedente deve assumere, vi è anche quello di un organo giurisdizionale: il Consiglio di Stato.

A ciò si aggiunga che, da statistiche ministeriali, risulta che il numero delle domande di cittadinanza, specie per residenza, sono in costante aumento ogni anno.

Viene da sé che l’Amministrazione è impossibilitata a concludere tutti i procedimenti della cittadinanza entro il termine di 730 giorni stabilito all’art. 3 del Dpr 362/1994. 

"Quanto devo aspettare per ottenere la cittadinanza italiana?" E' questa la domanda più ricorrente dello straniero che ha richiesto la cittadinanza.

Bene, non si può credere che l’ordine di trattazione dei singoli procedimenti sia da ricollegare esclusivamente alla data in cui sono state presentate le rispettive domande.

Se fosse sempre rispettato l'ordine cronologico, non si spiegherebbe perché taluni stranieri attendono 5 o 6 anni, mentre altri riescono ad ottenere il decreto di concessione dopo 2 o 3 anni di attesa, o altri addirittura prima del termine di 730 giorni.

Determinante è quindi il modo in cui i singoli richiedenti si attivano per sollecitare e controllare le proprie pratiche di cittadinanza.

Se è vero che l’attività di sollecitazione può essere svolta anche direttamente dall’intessato, è altrettanto vero che se detta attività viene delegata ad un avvocato esperto della materia, le possibilità di conseguire un discreto risultato salgono notevolmente.

L’obiettivo che il nostro Studio si prefigge, quando ci viene affidata una pratica di cittadinanza alle prime battute, è che nessuna fase del procedimento duri più del dovuto.

Va naturalmente premesso che ottenere la cittadinanza in 2 mesi è un’utopia che nessuno può prendere ragionevolmente in esame, e invitiamo gli stranieri a diffidare di chi promette simili risultati.

Dunque, se il principio base è che prima ci si attiva, e più si riducono, in proporzione, i tempi di attesa della cittadinanza, la seconda regola è che non è mai troppo tardi per dare una scossa al procedimento.

L’importante è stare attenti a non oltrepassare il limite temporale del 3° anno dalla data di presentazione della domanda, poiché decorso tale termine, l’interessato non potrà più presentare ricorso al Tar.

Infatti, l’art. 31, comma 2°, del codice del processo amministrativo stabilisce in via generale che il ricorso contro il silenzio-inadempimento della Pubblica Amministrazione può essere proposto “fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento”.

Il ricorso, pertanto, può essere proposto entro 1 anno dalla scadenza dei 730 giorni, dunque entro 3 anni dalla data di presentazione della domanda di cittadinanza.

Il ricorso al Tar è sicuramente il rimedio più forte che si può intraprendere per velocizzare la pratica di cittadinanza, in quanto l’Amministrazione viene chiamata davanti al giudice amministrativo, e se vuole evitare di subire una sentenza di condanna, con tutte le conseguenti responsabilità civili, anche per il dirigente e il responsabile del procedimento, necessariamente deve attivarsi ed inserire la pratica “azionata” tra quelle prioritarie.

Ma il ricorso non è l’unico rimedio legale attivabile.

E’ anche possibile intraprendere una pratica di sollecito. Eventualmente, avvocato e assistito possono fissare una data limite, oltre la quale, se non si è raggiunto il risultato, si decide di ricorrere in giudizio. Sempre stando attenti al termine di decadenza del 3° anno, sopra indicato.

La pratica di sollecito, quando sono trascorsi i 730 giorni dalla domanda, differisce dal ricorso per il fatto che qui si tenta di avviare un dialogo diplomatico con l’Amministrazione, piuttosto che chiedere al Tribunale di ordinare a quest’ultima, in via coattiva, la conclusione del procedimento.

Tuttavia, se tale iniziativa bonaria non viene apprezzata e l’Amministrazione persiste nel proprio silenzio-inadempimento, allora il ricorso diventa di fatto una via obbligata.

 

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