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Preavviso di diniego della cittadinanza a causa di precedenti penali non dell’interessato ma di un familiare convivente

head 1597555 1280Per uno straniero radicato in Italia è un duro colpo vedersi recapitare il preavviso di diniego della cittadinanza italiana.

Non occorre soffermarsi più di tanto sugli effetti penalizzanti del diniego della cittadinanza.

Basti pensare ai diritti civili e politici che costituiscono prerogativa esclusiva dei cittadini, alle maggiori possibilità di collocamento sul mercato del lavoro e agli altrettanto fondamentali privilegi riservati ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari, tra cui, in primis, la libertà di circolazione e soggiorno disciplinata dal D. Lgs. n. 30 del 2007: benefici a cui il richiedente rischia di dover rinunciare.

Ma soprattutto, il diniego della cittadinanza provoca un senso di solitudine e di emarginazione, perché il richiedente continua ad essere - e a sentirsi - "straniero", sebbene nello Stato egli conduca la sua vita come un comune cittadino, abbia un lavoro, la famiglia, e si senta ormai perfettamente integrato.

L'ipotesi più diffusa di diniego si ha quando dall’istruttoria emerge la presenza di una o più condanne a carico del richiedente. 

Accade però che il preavviso di diniego venga emesso anche se a commettere il reato – o i reati - non sia stato il richiedente, bensì suoi familiari conviventi (come ad esempio il coniuge, un figlio o il padre). 

Dunque, nella valutazione del noto requisito della coincidenza dell’interesse privato – ovvero, dello straniero ad ottenere la cittadinanza - con quello pubblico – dello Stato ad accogliere un nuovo cittadino nella propria comunità – l’Amministrazione afferma di dover prendere in considerazione il comportamento penalmente rilevante non solo del richiedente, ma anche degli altri componenti il suo nucleo familiare.

Tale linea operativa si rifà alla decisione del Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 5680 del 2 novembre 2007, per la quale “l’interesse pubblico alla concessione della cittadinanza, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del paese ospitante, sotto il profilo dell’apporto lavorativo e del rispetto delle regole del paese stesso. In tale ottica, non può ritenersi censurabile l’estensione della valutazione anzidetta al nucleo familiare”.

Si potrebbe contraddire, a quanto sopra, invocando l’importante principio affermato da altra giurispudenza, in forza del quale, seppure l’Amministrazione, nell’esercizio della propria discrezionalità, possa trarre alcuni elementi di valutazione anche dal complessivo contesto familiare del richiedente, “una tale valutazione di elementi riguardanti persone diverse dell’istante può essere effettuata quando sussistano specifici elementi e circostanze di fatto, da cui risulti che quelle non riferite al richiedente possano comportare una mancata integrazione di quest’ultimo nella comunità nazionale o denotare la non condivisione dei valori dell’ordinamento e della comunità nazionale da parte di chi richieda la cittadinanza” (in ultimo, Tar Lazio, Sez. II^ Quater, n. 2108 del 15.01.2015).

Pertanto, affinché determinate circostanze di fatto riferite “a persone diverse dall’istante” possano giustificare il rigetto della domanda di cittadinanza, è necessario che le circostanze stesse siano idonee ad incidere direttamente sul giudizio relativo all’integrazione sociale dell’istante.

Al riguardo, il Tar Lazio, Sez. II^ Quater, con la sentenza n. 12762 del 15.10.2015, ha affermato che “una tale valutazione di elementi riguardanti persone diverse dell’istante può essere effettuata quando sussistano specifici elementi e circostanze di fatto, da cui risulti che quelle non riferite al richiedente possano comportare una mancata integrazione di quest’ultimo nella comunità nazionale o denotare la non condivisione dei valori dell’ordinamento e della comunità nazionale da parte di chi richieda la cittadinanza o quando i precedenti penali indichino che il nucleo familiare trae mezzi di sostentamento da attività illecite”.

Vi è da dire, tuttavia, che in alcuni casi il rigido orientamento adottato dall’Amministrazione può fornire un assist prezioso all’avvocato chiamato a contestare il preavviso di diniego ricevuto dal suo assistito.

Si tratta dei casi in cui è la stessa Amministrazione a tradire il proprio principio di azione, ovvero, quando ritiene di dover negare la cittadinanza allo straniero con precedenti penali, seppure in precedenza l’abbia concessa al familiare convivente (es. coniuge, o figlio): evidente contraddizione.

La "contraddittorietà" è uno specifico caso di patologia dell'atto amministrativo, che sussiste allorquando un atto si pone in contraddizione con altro adottato dalla stessa Pubblica Amministrazione nell’esercizio del medesimo potere.

Dunque, delle due l'una:

  • O, come l'Amministrazione insegna, bisogna fare riferimento al comportamento di tutto il nucleo familiare, e allora il diniego emesso nei confronti dello straniero con precedente penale è in contraddizione con il decreto di accoglimento della domanda di cittadinanza del familiare convivente senza precedenti penali;
  • o la valutazione sul comportamento penale deve effettuarsi singolarmente, e allora sarebbe sì corretto accogliere una domanda e respingere l'altra, ma la contraddizione resterebbe con tutte le altre decisioni in cui l'Amministrazione ha applicato la regola opposta.

Quanto detto, ovviamente, vale solo se la condanna in questione risulta anteriore alla data in cui il primo familiare (con la fedina pulita) ha conseguito la cittadinanza.

Solo in questo caso, infatti, si potrebbe contestare che l’Amministrazione fosse già a conoscenza di detto precedente penale, e tuttavia – tradendo i suoi stessi princìpi di azione – lo abbia considerato ininfluente in un caso, e ostativo nell'altro.

 

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