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Il processo giudiziale della cittadinanza per discendenza materna

L'Amministrazione italiana non riconosce lo stato di cittadino ai discendenti di madre italiana nati prima dell'entrata in vigore della Costituzione (1° gennaio 1948).

Pertanto, se il figlio di donna italiana è nato prima del 1948, per i Consolati e i Comuni italiani la linea di trasmissione della cittadinanza si è spezzata in quel punto, e l'interessato non può ottenere la cittadinanza italiana per discendenza con domanda amministrativa.

Rimane quindi una sola possibilità in questi casi: avviare un processo davanti al Tribunale di Roma con il patrocinio di un avvocato. 

Il processo ha inizio con la notifica dell’atto di citazione, con il quale, dopo aver ricostruito la linea di discendenza del richiedente, ed illustrato le motivazioni giuridiche su cui si fonda il diritto alla cittadinanza per discendenza materna, si chiede al giudice di voler accertare e dichiarare che l’interessato è cittadino italiano iure sanguinis. 

Ad essere citato in giudizio è il Ministero dell’Interno, unica Amministrazione legittimata nei processi in materia di cittadinanza italiana.

La data dell’udienza viene scelta dall’attore. La legge processuale, nel caso, come quello di specie, in cui la parte convenuta risiede in Italia, prevede che l’indicazione di un’udienza distante almeno 90 giorni.

Va però precisato che sarà il giudice istruttore designato dal Tribunale a fissare la data ufficiale, in base alla disponibilità del ruolo.

Entro 10 giorni dalla notifica della citazione, l’avvocato deposita in Tribunale il fascicolo contenente la citazione notificata e tutti i documenti da far valere nel processo, in originale. Viene assegnato un numero di registro generale: da questo momento la causa è ufficialmente introdotta.

A volte il Ministero dell'Interno non partecipa al processo. Così, se il giudice nulla contesta in relazione ai certificati prodotti, l'avvocato rinuncia a depositare ulteriori documenti e memorie difensive e chiede che la causa venga rinviata all'udienza finale per la precisazione delle conclusioni.

Al contrario, se il Ministero dell’Interno partecipa al giudizio, l’Avvocato dell’aspirante cittadino italiano ha l’onere di controdedurre: aumenta l’attività giudiziaria, aumentano le udienze e le possibili contestazioni a cui dover fare fronte.

La lunghezza effettiva del processo dipende da vari fattori:

  • Dalla complessità del giudizio, quindi dall’estensione dell’albero genealogico e dal numero di documenti che il giudice dovrà verificare;
  • dalla precisione dei documenti raccolti: più si presentano documenti privi di vizi e irregolarità, minori saranno le contestazioni di controparte e/o del giudice, più rapidi saranno i tempi;
  • dal fatto che il Ministero dell’Interno partecipi o no al processo;
  • dai normali imprevisti che possono capitare in qualsiasi procedimento giudiziario (rinvii di udienze, sostituzioni dei giudici, scioperi dell’attività giudiziaria, ecc.)

Se dovessimo stimare una durata di questo tipo di processi, potremmo dire un anno e otto mesi.

Precisate le conclusioni, entro un certo termine, il giudice emette la sentenza.

L’avvocato, dopo che la sentenza è stata depositata in cancelleria, deve notificarne copia alla controparte. Inoltre provvede a curare la registrazione della sentenza stessa presso l’Agenzia delle Entrate e a versare per conto del cliente l’imposta di registro.

Decorsi i termini di decadenza dall’impugnazione, l’avvocato provvede a richiedere il certificato di “non proposto appello”.

Dopodiché, ritira all’archivio del Tribunale il fascicolo di parte, per rientrare in possesso dei documenti originali, che provvede ad inviare alla parte assistita, unitamente alla sentenza e al certificato di non proposto appello.

Come ultimo passo, l’Avvocato assiste la parte nel sollecitare il competente Consolato italiano, affinché siano curate le trascrizioni dell'acquisita cittadinanza nei registri civili italiani.

 

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