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Lavorare in Italia per un cittadino straniero. Quali sono le difficoltà più grandi?

In un contesto socio-politico come quello attuale, in cui si discute molto di come regolare le ondate di migrazioni irregolari provenienti via mare, ci si dimentica completamente degli stranieri che, al contrario, vorrebbero fare ingresso in Italia in modo regolare, con un visto e un normale passaporto.

È noto, infatti, come da molti anni il governo italiano non emetta un decreto flussi nel senso reale del termine, come previsto dal Testo Unico sull'Immigrazione, rinunciando così a disciplinare l'ingresso legale degli stranieri. Eppure questi stranieri, come hanno sempre dimostrato di fare, potrebbero costituire un valore aggiunto per la nostra società ed economia, prestando attività di lavoro di particolare valore sociale (come l'assistenza per gli anziani o gli invalidi) o avviando attività professionali o d'impresa.

Recenti indagini, sotto quest'ultimo profilo, hanno dimostrato la grande incidenza sul PIL nazionale delle attività economiche avviate da stranieri. Ebbene, di questa immigrazione utile, valorosa e redditizia, lo Stato italiano non si occupa più. Si parla di integrazione degli stranieri solo per accogliere i flussi migratori irregolari, mentre non si parla mai di aprire le porte agli stranieri che intendono venire in Italia, con un passaporto e un regolare visto consolare, facendo progredire la nostra economia e migliorando i nostri talenti.

È clamoroso che oggi stranieri provenienti, ad esempio, dal Marocco (tanti sono i casi della nostra esperienza professionale) non riescano ad ottenere un visto per studio pur dimostrando di avere una solida formazione nel proprio Paese di origine e di essere pre-iscritti, come la legge richiede, a un corso di studio universitario in Italia. Persone che vorrebbero realmente studiare e far carriera in Italia sono respinte alla base perché vi è il "rischio migratorio", ossia il rischio che lo straniero non rientri nel proprio Stato una volta scaduto il visto.

È evidente il paradosso che esiste nella forma in cui lo Stato italiano, da alcuni anni, approccia il tema dell'immigrazione.

Gli ultimi decreti flussi, basta leggere i testi, sono riservati a fattispecie talmente esclusive e rare, che strizzano l'occhio esclusivamente a grossi investitori di capitali e alle start-up c.d. innovative. Ma sinceramente: perché uno straniero, oggi, dovrebbe investire ingenti capitali in un Paese, l'Italia, la cui economia è in crisi e il cui livello di pressione fiscale è tra i più alti in Europa?

Diventa così inevitabile, per lo straniero che non si rassegna a dover ricorrere a forme di immigrazione clandestina, valutare ipotesi di ingresso per lavoro al di fuori delle quote, cioè se il proprio caso rientra tra le fattispecie, anch'esse molto particolari ed esclusive, previste dall'art. 27 del Testo Unico sull'Immigrazione. Esempi sono i visti per i traduttori e interpreti, per i personaggi dello spettacolo, per gli sportivi, per gli infermieri professionali, per i dirigenti di imprese straniere distaccati in filiali in Italia.

La difficoltà di fare regolare ingresso in Italia, nel contesto politico e normativo attuale, complica anche l'ulteriore percorso per avere la cittadinanza italiana. L'iter normale, infatti, è che lo straniero faccia ingresso in Italia con un regolare visto d'ingresso, e dopo un numero determinato di anni (di regola 10, salvo i periodi differenti di cui all'art. 9, legge 5 febbraio 1992 n. 91), chieda la cittadinanza italiana per residenza, dimostrando di essere integrato nel territorio nazionale sotto tutti i profili, anche reddituale e della buona condotta.

Requisito essenziale, per naturalizzarsi, è che lo straniero dimostri un periodo, come detto, in generale, di dieci anni, di residenza legale, per cui conforme sia alla normativa sul diritto dell'immigrazione che con le disposizioni del diritto anagrafico. In particolare, lo straniero non deve aver mai subito la revoca della residenza anagrafica, perché il periodo prescritto di residenza deve essere continuo e ininterrotto, pena la dichiarazione di improcedibilità della domanda.

Tornando al punto di prima, va riconosciuto che gli attuali naturalizzati italiani sono in maggioranza gli stranieri che, nel passato, avevano potuto beneficiare di decreti flussi effettivi, oppure delle procedure di emersione dal lavoro irregolare (c.d. sanatoria), nonché della protezione internazionale. Oggi questo percorso si fa obiettivamente più difficile. In sostanza, lo straniero, oggi, prima di interrogarsi su come chiedere la cittadinanza italiana, si preoccupa di come fare ingresso in Italia nel rispetto delle nostre leggi.

 

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