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Legittimazione attiva nel ricorso contro il diniego del visto per turismo

Con la recente sentenza n. 623 del 13 gennaio 2017, il Tar del Lazio ha dichiarato che ricorso contro il diniego del visto può essere presentato esclusivamente dallo straniero-diretto interessato e non da altre persone.

Nel ricorso in esame era stato richiesto l’annullamento del provvedimento con il quale l’Ambasciata d’Italia in Accra (Ghana) aveva respinto la richiesta di rilascio del visto d’ingresso in Italia per turismo in favore di un cittadino ghanese.

I motivi del diniego erano i classici previsti dal modulo uniforme Schengen, ovvero: “le informazioni fornite per giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto non sono attendibili”, e che l’intenzione del richiedente “di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto non può essere stabilita con certezza”.

Ad agire nel processo non era stato il cittadino ghanese, che si era visto rifiutare la possibilità di fare ingresso in Italia, bensì un terzo. 

Legittimazione attiva nel ricorso contro il diniego del visto per turismo con lo studio legale Francesco Boschetti

Così, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, oltre a chiedere il rigetto del ricorso, preliminarmente aveva eccepito la sua inammissibilità per difetto di legittimazione ad agire della ricorrente.

Alla camera di consiglio chiamata per la discussione dell’istanza cautelare, la causa è stata trattenuta in decisione, ritenuto che il ricorso potesse essere deciso con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.

Il Tar Lazio ha accolto la richiesta di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva, avanzata dall’Amministrazione, poiché la ricorrente aveva impugnato il provvedimento di diniego del visto di ingresso riguardante un terzo soggetto (il cittadino ghanese), senza evidenziare tra l’altro alcun profilo di proprio personale e giuridicamente rilevante interesse, limitandosi solo ad affermare di aver “avviato” il procedimento amministrativo dinnanzi all’Ambasciata italiana.

Tale presa di posizione è coerente a quanto più volte affermato dallo stesso Tar Lazio, con riguardo alla (diversa, ma per certi versi analoga) ipotesi di impugnazione del diniego di visto da parte del datore di lavoro dello straniero, ovvero che l’azione di annullamento proposta innanzi al giudice amministrativo è subordinata alla sussistenza:

  • “Della titolarità di una posizione giuridica in astratto configurabile come interesse legittimo (inteso come posizione qualificata – di tipo oppositivo o pretensivo – che distingue il soggetto dal quisque de populo in rapporto all’esercizio dell’azione amministrativa)”;
  • “della legittimazione attiva (o passiva) di chi agisce (o resiste) in giudizio, in quanto titolare del rapporto controverso dal lato attivo (o passivo)”;
  • “dell’interesse ad agire (consistente nella “concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto, a norma dell’art. 100 cod. proc. civ.”; così, ex aliis, Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 994 del 2015).

Pertanto, il Tar Lazio ha concluso che “dal momento che la funzione tipica del visto è quella di consentire allo straniero l’ingresso nel territorio nazionale, altrimenti precluso, deve ritenersi che, in assenza di un diverso assetto normativo, solo lo straniero richiedente il visto sia abilitato a reagire avverso la determinazione che, per l’appunto, gli impedisca di entrare in Italia”.

La sentenza di cui sopra si rifà a TAR Lazio, Roma, questa sez. III-ter, sentt. nn. 10594, 10601 e 10611 del 2016.

 

 

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