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Il ricongiungimento familiare. Aspetti di diritto internazionale e comunitario

L’unità della famiglia è indubbiamente uno degli aspetti più importanti del diritto al rispetto della vita familiare, garantito dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

A carico del singolo Stato ospitante possono incombere obblighi anzitutto di carattere positivo, rivolti cioè a consentire il ricongiungimento familiare, ammettendo l’ingresso e il soggiorno dei congiunti dello straniero legalmente inserito nel proprio territorio.

Al contempo, tali obblighi possono assumere carattere negativo, nella misura in cui lo Stato è tenuto a non espellere un determinato soggetto in ragione del suo status familiare. 

Possiamo quindi affermare che l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, pur non essendo indiscriminato, ma anzi potendosi scontrare con interessi pubblici di assoluta rilevanza, è comunque un limite al potere autoritativo dello Stato destinatario della richiesta.

Vi è infatti da ritenere che, in uno Stato democratico, l’adozione di provvedimenti quali la revoca o il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, l’espulsione, laddove vadano a spezzare una convivenza familiare già radicata, richieda un’approfondita ponderazione degli interessi in gioco.

Da un lato, infatti, vi sono ragioni di politiche migratorie e di tutela della sicurezza nazionale, esclusiva prerogativa degli Stati membri, dall’altra, il diritto all’unità familiare che assume rilevanza anche nelle norme di diritto internazionale.

Sotto questo aspetto, vanno menzionate diverse fonti, tra cui:

  • L’art. 16 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948, che individua “la famiglia come nucleo naturale e fondamentale della società”, attribuendole “il diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”.
  • l’art. 23 del Patto Internazionale sui diritti politici e civili del 1966 e l’art. 10 di quello sui diritti economici, sociali e culturali, sempre del 1966;
  • gli articoli 8 e 9 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989;
  • l’art. 8 CEDU;
  • l’art. 12 della Convenzione europea sullo status dei lavoratori migranti,
  • l’art. 19 della Carta sociale europea; l’art. 44 della Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie;
  • l’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Come già accennato, nonostante tali autorevoli fonti di diritto internazionale sembrino proiettare l’istituto del ricongiungimento familiare verso l’area dei diritti dell’uomo e dei diritti della personalità, meritevoli di tutela assoluta, il diritto all’unità familiare, in realtà, non può considerarsi oggetto di tutela assoluta, piena e incondizionata.

Al contrario, è evidente come, di volta in volta, vadano bilanciati l’interesse del singolo da una parte, e l'interesse dello Stato ospitante a controllare e regolare i flussi migratori, dall'altra.

Basti considerare che l’ingresso dello straniero nel territorio nazionale coinvolge svariati interessi pubblici, come la sicurezza, l’ordine pubblico, e la sanità, la cui ponderazione spetta innanzitutto al legislatore interno, che ha il solo limite, nelle sue scelte, della manifesta irragionevolezza.

Dal punto di vista del diritto comunitario, il diritto al ricongiungimento familiare, ai sensi della direttiva 2003/86, è limitato ai cittadini dei Paesi terzi legalmente soggiornanti nel territorio di uno Stato membro dell’Unione.

Requsito imprescindibile, è che tali cittadini stranieri siano in possesso di un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno.

La direttiva si applica anche ai rifugiati, indipendentemente dalla durata della validità del permesso di soggiorno, riconosciuti dagli Stati membri sotto le previsioni della Convenzione di Ginevra, mentre sono esclusi i richiedenti asilo e i beneficiari della protezione temporanea.

Il ricongiungimento, pertanto, secondo la suddetta direttiva, include non solo i cittadini di Stati terzi soggiornanti a scopo di lavoro e attività subordinata (esclusi i lavoratori a tempo determinato e quelli stagionali), bensì anche gli studenti.

L’art. 3 della direttiva richiede l’esito positivo della valutazione discrezionale, da parte dello Stato ove deve avvenire il ricongiungimento, circa l’esistenza di “una fondata prospettiva di ottenere il diritto di soggiorno in modo stabile”.

La direttiva si applica anche ai cittadini extracomunitari che hanno ottenuto lo status di soggiornante di lungo periodo, qualora decidano di trasferirsi in un secondo Stato membro.

Infatti, l’art. 16 della direttiva 2003/19, stabilisce che i familiari del soggiornante, elencati dall’art. 4 della direttiva 2003/86 hanno diritto (coniuge, figli minori non sposati) o possono (ascendenti, figli adulti non sposati, partner) accompagnarlo o raggiungerlo nel secondo Stato membro, allorché la famiglia era già riunita nel primo Stato membro.

 

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