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La disciplina sul divieto di reingresso imposto con il provvedimento di espulsione

La disciplina dei divieti di reingresso è stata innovata con la Legge n. 129 del 2011 di recepimento della direttiva 2008/115/CE. Antecedentemente alla riforma, l'espulsione prefettizia era corredata da un divieto di reingresso di 10 anni, salva la facoltà del prefetto di ridurre detto termine a 5 anni in ragione della condotta tenuta dallo straniero, complessivamente considerata, nel corso della sua permanenza in Italia. 

La direttiva rimpatri (art. 11, §4) ha imposto agli Stati membri l'obbligo di corredare la decisione di rimpatrio con un divieto di reingresso solo se non è stato concesso un termine per la partenza volontaria e se lo straniero non ha ottemperato all'obbligo di partire nel termine concesso: negli altri casi agli Stati membri è riconosciuta la semplice facoltà di disporre il divieto di rientro (l'Italia ha scelto di avvalersi delle opzioni più restrittiva concesse dalla direttiva rimpatri, prevedendo sempre il suddetto divieto).

Riguardo alla durata del termine del divieto di reingresso in Italia, il nuovo art. 13, comma 14, del Testo Unico sull'Immigrazione prevede che ordinariamente il divieto di reingresso degli stranieri espulsi opera per un periodo non più di 10 anni, ma da 3 a 5 anni, determinato dal prefetto sulla base della gravità del caso specifico. Però, in fattispecie di particolare gravità (ad es. quando l'espulsione sia stata disposta per motivi di prevenzione del terrorismo internazionale), il divieto di reingresso può essere imposto per un periodo anche superiore a 5 anni, salva congrua motivazione.

Lo straniero espulso può presentare istanza di revoca del divieto di reingresso al prefetto che ha disposto l'espulsione, dimostrando di aver ottemperato all'obbligo di abbandonare il territorio nazionale, ad es. mediante il timbro di uscita sul passaporto. L'istanza può essere proposta direttamente dall'interessato tramite l'autorità consolare italiana nel proprio Paese, oppure in Italia da difensore munito di procura speciale. Inoltre è consigliabile proporre istanza di accesso al SIS con contestuale istanza di cancellazione di eventuali segnalazioni nella relativa banca dati, posto che, a prescindere dalla validità ed efficacia dei provvedimenti di espulsione, la formale iscrizione al SIS è comunque causa di rigetto del visto d'ingresso.

Infine, si noti che a seguito delle nuove disposizioni in tema di durata dei divieti di reingresso si pone la questione della perdurante validità dei divieti decennali precedentemente imposti, se il termine decennale non è ancora decorso, ma risulta decorso il nuovo termine quinquennale.

E’ indubbio, che all’epoca in cui fu disposto, il divieto decennale di reingresso era perfettamente legittimo, tuttavia se il provvedimento è ancora valido ed efficace, è lecito chiedersi se sia compatibile con le nuove previsioni più favorevoli previste dalla direttiva rimpatri e dal diritto interno. La soluzione più sensata sarebbe quella di prevedere la riduzione automatica dei divieti di reingresso decennali e cinque anni, con la conseguenza che, decorso il quinquennio dalla data di esecuzione dell’espulsione, il divieto di reingresso dovrebbe ritenersi caducato.

Tuttavia si ritiene che tale riduzione debba essere comunque accertata e dichiarata. Pertanto, in questa particolare circostanza, si rende indispensabile la formale istanza di revoca del divieto di reingresso di cui si è già fatto cenno.

 

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