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Prova della residenza anagrafica decennale nella domanda di cittadinanza per residenza

Il TAR Lazio ha emesso una sentenza in materia di residenza e cittadinanza italiana che riteniamo essere molto rilevante per tutti gli stranieri in Italia che si chiedono come ottenere la cittadinanza italiana. Ci riferiamo alla sentenza TAR Lazio, sez. V bis, 18 settembre 2023, n. 13815.

La domanda risolta nella sentenza è la seguente: ai fini della determinazione della residenza di 10 anni, per poter presentare domanda di cittadinanza italiana, rileva esclusivamente la residenza anagrafica o lo straniero può dimostrare con altri mezzi la sua permanenza nel territorio dello Stato?

Il Tribunale ha aderito alla prima soluzione, affermando che, in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe, la residenza legale ai fini dell’ottenimento della cittadinanza italiana ex art. 9, lett. f), legge n. 91/1992 è accertata solo attraverso la certificazione anagrafica.

Lo straniero, quindi, non può provare la residenza attraverso prove diverse da questa, come indizi di carattere presuntivo o elementi sintomatici indiretti. Inoltre, il requisito temporale della residenza deve essere persistente e sussistere fino al giuramento.

Invero – dichiara il Tar Lazio - dal tenore testuale del menzionato art. 9 lett. f) della legge n. 91/1992, laddove prevede che la cittadinanza italiana possa essere concessa allo straniero che risieda legalmente (non per dieci anni, bensì) “da almeno” dieci anni nel territorio della Repubblica, va inteso nel senso che «la parola "almeno" evidenzia che la disposizione primaria qualifica il decennio della residenza in Italia non come requisito per la proposizione della domanda, con irrilevanza di ciò che avviene dopo di essa, ma come necessario requisito di fatto che deve perdurare pur dopo la maturazione del decennio, sino al momento del giuramento» (Consiglio di Stato, sez. III, 19/04/2022, n. 2902).

Del resto, l’art. 4, comma 7, del d.P.R. n. 572/1993 (“Regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”) stabilisce espressamente che le condizioni previste per la proposizione dell'istanza di concessione della cittadinanza italiana per residenza di cui all'art. 9 della legge n. 91/1992 “devono permanere sino alla prestazione del giuramento”.

Emerge pertanto che, ai fini della concessione della cittadinanza, non assume rilievo il tempo trascorso dallo straniero sul nostro territorio in posizione di mera “residenza abituale”, ma solo quello in “posizione di legalità” nel senso sopra delineato, in quanto “indicativo della piena integrazione nel tessuto nazionale da parte dell’aspirante cittadino” (Consiglio di Stato, sez. I, parere 30.11.92 n. 2482).

E proprio perché il presupposto della residenza legale va accertato in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe, l'interessato non può provare la residenza attraverso prove diverse dalla certificazione anagrafica, atteso che la legge demanda ai registri anagrafici l'accertamento della popolazione residente e coerentemente l'art. 1, d.P.R. n. 362 del 1994 e l'art. 1 comma 2 lett. a), d.P.R. n. 572 del 1993 impongono che la prova della residenza sia fornita solo con riferimento alle risultanze dei registri dell'anagrafe dei residenti, non essendo consentito che, in presenza di una precisa definizione della nozione di residenza legale ai sensi della disposizione regolamentare innanzi richiamata, tale elemento possa essere surrogato con indizi di carattere presuntivo od elementi sintomatici indiretti (Consiglio di Stato sez. III, 22/11/2011, n.6143; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Trieste, sez. I, 30/04/2019, n.186; T.A.R. Trentino-Alto Adige, Trento, sez. I, 14/01/2022, n. 3).

Il Tar Lazio ha ritenuto quindi che non appare irragionevole la scelta del legislatore laddove, ai fini in esame, abbia inteso far coincidere la nozione di residenza legale con quella di residenza anagrafica, atteso che il livello di integrazione e di adesione dello straniero ai valori e ai principi dello Stato cui aspira a divenire cittadino ben può essere apprezzato anche alla stregua della puntuale osservanza degli adempimenti prescritti “in materia d’iscrizione anagrafica” (l’art. 1, comma 2, lett. a d.P.R. n. 572/1993), i quali, lungi dal poter essere considerati meri “cavilli burocratici” come eccepito dal ricorrente, costituiscono il presupposto per consentire, per quanto qui rileva, anche un efficace monitoraggio degli stranieri che soggiornano nel territorio statale al fine di garantire preminente tutela ai principi fondamentali della sicurezza e dell’ordine pubblico.

Infine, il Tar ha affermato che laddove l'interessato avesse voluto efficacemente sostenere la propria effettiva residenza ininterrotta nel Comune di Firenze e la conseguente erroneità della cancellazione anagrafica operata da quest'ultimo, avrebbe potuto chiedere al medesimo Comune l'annullamento in autotutela del provvedimento di cancellazione oppure avrebbe potuto proporre ricorso gerarchico improprio al Prefetto (ai sensi dell'art. 5, comma 2, legge n. 1228/1954 e art. 36 D.P.R. 223/1989) o, ancora, avrebbe potuto adire l'autorità giudiziaria competente, i.e. il giudice ordinario, non essendo l’adito giudice amministrativo munito di giurisdizione su tale questione.

A quest’ultimo riguardo, infatti, si rende opportuno richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “le controversie aventi ad oggetto l'iscrizione e la cancellazione dai registri anagrafici della popolazione appartengono alla cognizione del giudice ordinario, concernendo posizioni di diritto soggettivo (cfr., quam multis, Tar Milano, 4.9.2017, n.1779; Tar L'Aquila, 9.4.2015, n.253; Tar Roma, 19.5.2009, n.5172; Tribunale Ferrara, ordinanza 24.9.2019; Tribunale Padova, 19.6.2020), posto che le norme disciplinanti l'attività dell'ufficiale d'anagrafe sono stabilite senza attribuire alcuna discrezionalità alla p.a. procedente, predefinendo in modo rigido, attraverso norme di relazione, i presupposti per le iscrizioni e le cancellazioni” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 22 marzo 2022, n. 3276).

In conclusione, tutti gli stranieri interessati alla presentazione domanda di cittadinanza per residenza devono sapere che nel calcolo degli anni di residenza – che devono essere almeno 10 e ininterrotti – rientra soltanto la residenza dimostrabile tramite l’iscrizione anagrafica, e, inoltre, che detta residenza ininterrotta deve sussistere fino al giuramento.

 

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