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L'introduzione dell'obbligo di conoscenza della lingua italiana per la concessione della cittadinanza

Un buon livello di conoscenza della lingua italiana è sempre stato un requisito implicito per la concessione della cittadinanza italiana per residenza. Se, infatti, tale concessione si fonda sull’integrazione dello straniero nel tessuto sociale dello Stato, non si spiegherebbe come uno straniero possa essere ritenuto integrato se non parla, e intende, la nostra lingua.

Tanto è vero che alla cronaca sono passati diversi casi di annullamento del decreto di concessione della cittadinanza per il fatto che il richiedente, all’atto del giuramento, aveva dimostrato di non comprendere cosa gli veniva detto e non riusciva ad esprimersi a sua volta in lingua italiana.

Il nuovo art. 9.1 della legge 5 febbraio 1992 n. 91, introdotto dal decreto legge 4 ottobre 2018 n. 113 (decreto sicurezza), convertito con legge 1 dicembre 2018 n. 132, stabilisce positivamente il requisito della conoscenza della lingua, così stabilendo:

“La concessione della cittadinanza italiana ai sensi degli articoli 5 e 9 è subordinata al possesso, da parte dell’interessato, di un’adeguata conoscenza della lingua italiana, non inferiore al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER)”.

I richiedenti, pertanto, nel momento in cui presentano la domanda, devono “attestare il possesso di un titolo di studio rilasciato da un istituto di istruzione pubblico o paritario riconosciuto dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale o dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ovvero a produrre apposita certificazione rilasciata da un ente certificatore riconosciuto dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale o dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca”.

Sono esentate le persone titolari del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo Ue e coloro che abbiano sottoscritto “l’accordo di integrazione di cui all’articolo 4-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”, avendo già assolto il relativo onere.

L’innovazione in oggetto, se poco nociva per chi richiede la cittadinanza in Italia, considerato che la stragrande maggioranza degli aspiranti cittadini è formata da stranieri in possesso del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, appare invece pregiudizievole per gli stranieri coniugi di cittadini italiani residenti all’estero, che raramente hanno una conoscenza adeguata della lingua italiana, e in ogni caso devono conseguire il relativo attestato.

Pensiamo ad esempio ai coniugi di chi è stato riconosciuto cittadino italiano iure sanguinis: discendenti di sangue italiano nati e cresciuti in Paesi lontani (ad esempio Brasile, Argentina, Canada, ecc.) che non hanno confidenza con la nostra lingua, e dunque neppure possono tramandarla ai coniugi.

Per i residenti all’estero, dunque, non sarà facile ottenere il grado di conoscenza della lingua italiana richiesto dalla legge. Si tratterà di un percorso impegnativo, oneroso anche dal punto di vista economico, e di dubbia ragionevolezza, considerato che spesso si tratta di persone che non verranno mai a vivere nel nostro Paese. Vista limitatamente in relazione a questi casi, la nuova norma, se in generale condivisibile, si traduce in un atto di patriottismo fine a se stesso. 

 

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