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Cittadinanza iure sanguinis per discendenza materna

Il principale modo di acquisto della cittadinanza italiana è lo ius sanguinis: l’art. 1 della Legge n. 91 del 1992, normativa attualmente in vigore, stabilisce che è cittadino per nascita il figlio di padre o madre cittadini.

Non è tuttavia sufficiente, perché si trasmetta la cittadinanza iure sanguinis, la sola sussistenza del legame biologico genitore-figlio, essendo richiesto anche il vincolo giuridico che determina gli effetti civili della filiazione.

Tale vincolo, normalmente, viene creato con il riconoscimento dei genitori in sede di formazione dell’atto di nascita.

Dunque, i figli di padre o madre cittadini italiani, per legge, sono anch’essi italiani. Ma attenzione: l’equiparazione tra padre cittadino e madre cittadina, ai fini della trasmissione della cittadinanza ai figli, è stato un risultato conseguito nel tempo, merito di due importantissime sentenze della Corte Costituzionale. 

Cominciamo dal dire che il problema dell’equiparazione padre-madre cittadini si pone in particolare per i casi dei discendenti di avi italiani, che, nella metà del 1800, sono emigrati dall’Italia per trasferirsi altrove, in particolare nelle terre del Sudamerica.

Ai sensi della vecchia legge sulla cittadinanza (la n. 555 del 1912, su citata), la donna italiana emigrata all’estero (o figlia di italiano emigrato), non solo non trasmetteva la cittadinanza alla prole, ma nel momento in cui contraeva matrimonio con uno straniero, la perdeva automaticamente.

Ella, quindi, acquistava la cittadinanza del coniuge straniero (se lo Stato di emigrazione prevedeva che lo stato di cittadinanza della moglie seguisse quella del marito).

Ecco però che oggi numerosi discendenti di avi italiani all'estero, per le ragioni più svariate, hanno interesse a vedere riaffermata e dichiarata la propria cittadinanza italiana iure sanguinis. Tanti di loro sono disorientati per il fatto di dover richiedere la cittadinanza per linea materna.

Determinante, in questo caso, è avere conoscenza delle due sentenze della Corte Costituzionale sopra citate, che hanno rivoluzionato il metodo di trasmissione della cittadinanza iure sanguinis, in funzione del principio di parità tra uomo e donna.

  • La n. 87 del 1975, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della Legge n. 555 del 1912, nella parte in cui stabiliva la perdita della cittadinanza italiana, indipendentemente dal rilascio di un’espressa dichiarazione di volontà in tal senso, da parte della donna che si coniugava con cittadino straniero, trattandosi di una disposizione che integrava un’evidente disuguaglianza morale e giuridica a danno della donna, incompatibile con la Costituzione.
  • La n. 30 del 9 febbraio 1983, che ha completato l’opera di parificazione dei sessi in tema di cittadinanza, dichiarando la illegittimità costituzionale dell’art. 1, n. 1, della Legge n. 555 del 1912, nella parte in cui non prevedeva che fosse cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina, configurando anch'essa un’inconcepibile disparità di trattamento, rispetto all’uomo cittadino, palesemente contraria ai princìpi costituzionali.

Sorge a questo punto una domanda essenziale per i richiedenti la cittadinanza per via materna: gli effetti delle pronunce della Corte Costituzionale del 1975 e del 1983 hanno validità dal 1° gennaio del 1948, data di entrata in vigore della Costituzione, o retroagiscono senza alcun limite di tempo?

Il punto è essenziale, perché se deve ritenersi che la donna non perda la cittadinanza italiana, e al contempo la trasmetta, solo a decorrere dal 1948, allora in tutti quei casi in cui l'albero genealogico presenta un figlio di donna cittadina nato prima di tale data, la trasmissione della cittadinanza dovrebbe ritenersi interrotta, e l'interessato non avrebbe alcuna possibilità di vedersi riconoscere la cittadinanza italiana.

La Corte di Cassazione, con la celebre sentenza a Sezioni Unite n. 4466 del 2009, sanando un acceso contrasto giurisprudenziale, ha stabilito che gli effetti delle due pronuncie della Corte Costituzionale devono trovare applicazione anche a tutela delle situazioni anteriori al 1948.

Ciò in quanto lo stato di cittadino è coseguenza della condizione di figlio, e come questa, “costituisce una qualità essenziale della persona, con caratteri d’assolutezza, originarietà, indisponibilità ed imprescrittibilità, che lo rendono giustiziabile in ogni tempo e di regola non definibile come esaurito o chiuso, se non quando risulti denegato o riconosciuto da sentenza passata in giudicato”.

Le Sezioni Unite hanno dunque affermato:

  • Che “la titolarità della cittadinanza italiana va riconosciuta in sede giudiziaria, indipendentemente dalla dichiarazione resa dall’interessata ai sensi dell’art. 219 della Legge n. 151 del 1975, alla donna che l’ha perduta per essere coniugata con cittadino straniero anteriormente al 1° gennaio 1948, in quanto la perdita senza la volontà della titolare della cittadinanza è effetto perdurante, dopo la data indicata, della norma incostituzionale, effetto che contrasta con il principio della parità dei sessi e della eguaglianza giuridica e morale dei coniugi (artt. 3 e 29 Cost.)".
  • Che per lo stesso principio, "riacquista la cittadinanza italiana dal 1° gennaio 1948, anche il figlio di donna nella situazione descritta, nato prima di tale data e nel vigore della legge n. 555 del 1912, determinando il rapporto di filiazione, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, la trasmissione a lui dello stato di cittadino, che gli sarebbe spettato di diritto senza la legge discriminatoria”.

Ne consegue, quindi, che anche il discendente di madre italiana nato prima del 1948 può veder risconosciuto il proprio stato di cittadino italiano iure sanguinis

La Pubblica Amministrazione, tuttavia, continua a non aderire a tale orientamento giurisprudenziale, ritenendo, al contrario, che l'avo-donna trasmetta la cittadinanza solo a decorrere dall'entrata in vigore della Costituzione.

Ne consegue che, mentre i discendenti di madre italiana nati dopo il 1° gennaio 1948 (come i discendenti di avo italiano per via paterna) possono ottenere il riconoscimento della cittadinanza direttamente in via amministrativa (tramite Consolato se residenti all'estero, o tramite istanza al Sindaco, se si trasferiscono temporaneamente in Italia o già vi risiedono), laddove invece il discendente di madre italiana sia nato prima del 1948, l'interessato dovrà necessariamente avviare un'azione giudiziaria in Italia, con il patrocinio obbligatorio di un avvocato.

La questione è di particolare interesse soprattutto per i discendenti dei nostri avi presenti in Brasile ed Argentina, dov'è concentrato il maggior numero di domande di ciudadania e cidadania italiana.

 

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