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Dimora, residenza e domicilio per la legge anagrafica

Per gli stranieri in Italia, soprattutto quelli che intendono richiedere la cittadinanza italiana per residenza, assumono particolare importanza le norme anagrafiche.

Lo straniero che va ad insediarsi in un determinato Comune italiano dovrebbe avere ben chiari, sin dall'inizio, i requisiti che sono alla base dell'iscrizione nell'anagrafe, al fine di esercitare i diritti che sono connessi alla residenza e di poter un giorno richiedere la cittadinanza italiana. E' per lo più la non conoscenza di tali norme e requisiti che creano il problema della cancellazione anagrafica, che costringe molti stranieri a dover rimandare l'obiettivo della cittadinanza italiana, vedendo interrotta la propria residenza in Italia. 

La disciplina relativa all’anagrafe della popolazione residente è contenuta essenzialmente nella legge 24 dicembra 1954, n. 1228 e nel relativo regolamento di attuazione, approvato con d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, a cui si aggiungono le modifiche apportate dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica. Il regolamento anagrafico, a sua volta, è stato modificato con d.P.R. 5 maggio 2009, n. 79.

L’anagrafe della popolazione residente (APR) ha la funzione di registrare nominativamente gli abitanti residenti in un determinato Comune, sia in quanto singoli che come componenti di una famiglia o di una convivenza, nonché le successive modifiche che si vengono a creare.

I concetti più importanti dal punto di vista anagrafico sono quelli della dimora, della residenza e del domicilio.

La dimora è il luogo dove si trova nel momento in cui viene considerata. L’elemento caratterizzante è la precarietà del rapporto tra la persona e il territorio, ed è per questo motivo che la dimora non assume molta rilevanza pratica, anche per la difficoltà di rilevarla.

La dimora assume rilevanza per la tenuta dello schedario della popolazione temporanea e in occasione dei censimenti generali della popolazione, in quanto concorre a determinare l’ammontare della popolazione presente in ciascun comune, e quindi nel territorio nazionale.

Quando la dimora assume i caratteri della stabilità allora parliamo di residenza. In questo caso esiste l’obbligo per la persona di richiedere l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente ed il diritto correlativo di ottenerla. Il carattere dell’abitualità è ciò che impedisce ad un soggetto di essere residente in più Comuni.

La dimora si può ritenere abituale quando coesistono due elementi, uno soggettivo e uno oggettivo: il primo consiste nella manifestazione di volontà dell’interessato (animus incolandi) di protrarre indefinitamente la propria permanenza nel Comune, mentre il secondo è rilevato da un insieme di fatti e comportamenti che confermano l’esistenza della suddetta volontà.

L’elemento soggettivo è senza dubbio il primo a determinare la stabile dimora, poiché l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente avviene appunto a seguito di una manifestazione di volontà. Spetta poi all’ufficiale di anagrafe il difficile compito di valutare la dichiarazione resa dall’interessato in relazione a quanto emerge dalla situazione di fatto.

In base a quanto emerge dall’esame integrato di tali due elementi, l’ufficiale di anagrafe prenderà la decisione se iscrivere o meno l’interessato. L’accertamento del possesso dei requisiti per l’iscrizione in anagrafe rimane uno dei punti di più difficile applicazione e motivo di contestazione tra gli ufficiali di anagrafe ed i soggetti richiedenti, nonché tra ufficiali di anagrafe dei diversi Comuni in caso di trasferimento di residenza.

Il Ministero dell’Interno ha statuito alcuni punti fermi in materia, ovvero:

  • La richiesta di iscrizione anagrafica, che costituisce un diritto soggettivo del cittadino, non appare vincolata ad alcuna condizione, né potrebbe essere il contrario, in quanto in tal modo si verrebbe a limitare la libertà di spostamento e di stabilimento dei cittadini sul territorio nazionale, in palese violazione dell’art. 16 della Costituzione;
  • appaiono contrari alla legge e lesivi dei diritti dei cittadini quei comportamenti adottati da alcune amministrazioni che, nell’esaminare le richieste di iscrizione anagrafica, pretendono una documentazione comprovante lo svolgimento di attività lavorativa sul territorio comunale, ovvero la disponibilità di un’abitazione, e magari, nel caso di persone coniugate, la contemporanea iscrizione di tutti i componenti del nucleo familiare, ovvero procedono all’accertamento dell’eventuale esistenza di procedimenti penali a carico del richiedente l’iscrizione;
  • il concetto di residenza, come affermato da costante giurisprudenza, e in specie, dal Tar Piemonte, con sentenza depositata il 24 giugno 1991, è fondato sulla dimora abituale del soggetto nel territorio comunale, cioè dall’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo, e soggettivo dell’intenzione di avervi stabile dimora, rivelata dalle condizioni di vita e dallo svolgimento delle relazioni sociali;
  • non può essere di ostacolo all’iscrizione anagrafica la natura dell’alloggio, quali, ad esempio, un fabbricato privo di licenza di abitabilità ovvero non conforme a prescrizioni urbanistiche, grotte, alloggi, roulotte e simili;
  • la funzione dell’anagrafe è essenzialmente di rilevare la presenza stabile, comunque situata, di soggetti sul territorio comunale, né tale funzione può essere alterata dalla preoccupazione di tutelare altri interessi, anch’essi dengi di considerazione, quali, ad esempio, l’ordine pubblico e l’incolumità pubblica, per la cui tutela dovranno essere azionati indonei strumenti giuridici diversi da quello anagrafico.

Decisamente innovativa, nel contesto dei principi suesposti, appare la disposizione introdotta dall’art. 1, comma 18, della legge n. 94/2009, che ha aggiunto, dopo il primo comma dell’art. 1 della legge n. 1228/1954, la seguente norma: “L’iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica possono dar luogo alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza, ai sensi delle vigenti norme sanitarie”.

Come ha rilevato il Ministero dell’Interno con la circolare 6 agosto 2009 n. 19, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, “è data facoltà al Comune di esercitare le proprie competenze in materia sanitaria controllando le condizioni igienico-sanitarie degli immobili in occasione delle richieste di iscrizione e variazione anagrafica”.

Per finire, il domicilio è il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi.

Nella maggior parte dei casi, il luogo del domicilio e quello della residenza coincidono. Tuttavia residenza e domicilio sono istituti nettamente distinti sotto il profilo giuridico, prevalendo nella residenza la concretezza della dimora protratta nel tempo, e nel domicilio il rilievo giuridico-formale della trattazione degli affari.

Il domicilio ha una rilevanza marginale nella disciplina anagrafica, essendo considerato essenzialmente quale criterio sussidiario per stabilire quale deve essere il Comune di iscrizione anagrafica della persona senza fissa dimora, cioè di quella per cui non risulta possibile stabilire il luogo di stabile dimora.

 

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