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Il nuovo termine dei procedimenti relativi alla cittadinanza italiana per residenza e per matrimonio fissato in 48 mesi

Il decreto-legge 4 ottobre 2018 n. 113 (decreto sicurezza), convertito con legge 1 dicembre 2018 n. 132, ha complicato le cose per gli stranieri che intendono ottenere la cittadinanza italiana, avendo esteso il termine del procedimento da 730 giorni a 48 mesi.

Chi ha presentato la domanda di cittadinanza già da tempo, sia per residenza che per matrimonio, può sperare che la procedura, essendosi svolta per lo più sotto la vigenza del precedente termine di 730 giorni, sia già arrivata a buon punto.

Tuttavia, c’è da dire che l’Amministrazione già si sta facendo scudo con il nuovo termine del procedimento, ossia “liquida” i solleciti post-decreto rispondendo che il termine adesso è di 48 mesi: un tacito invito a “non disturbare”.

Noi invece la pensiamo esattamente al contrario: la modifica legislativa è un motivo in più per non rimanere con le mani in mano.

Come l’Amministrazione era solita non rispettare il termine di 730 giorni, così c’è ragione di temere che anche il termine di 48 mesi, seppure ampiamente “largo”, possa essere preso alla leggera.

Ricordiamo, infatti, che il Ministero dell’Interno, nelle risposte ai solleciti delle pratiche con il termine di 730 giorni, ha sempre sostenuto che detto termine non era “perentorio”;

In termini giuridici – chiariamo - un termine è “ordinatorio” quando la sua violazione non comporta alcuna sanzione o effetto giuridico, per cui esso è solo indicativo; mentre è “perentorio” quando un atto deve essere compiuto obbligatoriamente entro il periodo considerato, pena l’applicazione di sanzioni o la produzione di altri effetti sfavorevoli.

Il Ministero dell’Interno, quindi, sosteneva che la violazione del termine di 730 giorni non comportava alcuna sanzione o effetto giuridico.

Ora, il rischio che anche il termine nuovo di 48 mesi venga dichiarato ordinatorio e NON perentorio esiste eccome. Per cui, il richiedente sembra avere ancora più interesse ad avvalersi dell’assistenza di un professionista, al fine di scongiurare un’attesa che diventerebbe infinita.
Ma devo attendere necessariamente 4 anni? Vi è da dire che non tutte le pratiche sono uguali. Ad esempio, la pratica del richiedente che ha risieduto in Italia sempre nello stesso comune, che non ha mai avuto alcun problema con la legge e ha redditi documentati più che sufficienti, può essere ritenuta di più semplice soluzione, rispetto a quella del richiedente che ha vissuto in cinque Stati e in più regioni d’Italia, o di quello che ha carichi pendenti o condanne penali definitive. In questi ultimi casi, infatti, l’Amministrazione dovrà verificare la posizione giudiziaria del richiedente con più istanze, presso distinte autorità, anche di diversi Stati. Nel primo caso, invece, l’istruttoria si presenta molto più leggera e snella.

Questo esempio vale per dimostrare che l’Amministrazione, nel definire le pratiche di cittadinanza, non segue soltanto il criterio cronologico: i tempi, al contrario, variano molto in relazione alla complessità dell’istruttoria, dei pareri da raccogliere e delle indagini che l’Amministrazione stessa deve eseguire.

E’ quindi possibile, per molti richiedenti, fissare come obiettivo quello di ottenere la cittadinanza ben prima dei 4 anni. Anche perché, come per i vecchi 730 giorni, anche il periodo di 48 mesi è da considerarsi un “termine massimo”. Nulla esclude, per le pratiche più semplici e lineari, che l’Amministrazione possa emettere il provvedimento con largo anticipo.

 

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