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L'abrogazione del silenzio-assenso per le domande di cittadinanza per matrimonio

Il decreto legge 4 ottobre 2018 n. 113 (decreto sicurezza), convertito con legge 1 dicembre 2018 n. 132, tra l’altro, ha abrogato il comma 2 dell’articolo 8 della Legge 5 febbraio 1992 n. 91.

Tale norma così recitava: “l’emanazione del decreto di rigetto dell'istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell'istanza stessa, corredata dalla prescritta documentazione, sia decorso il termine di due anni".

Per pacifica giurisprudenza, decorso inutilmente il suddetto termine di 2 anni, il richiedente diventava titolare di un vero e proprio diritto soggettivo ad essere riconosciuto cittadino italiano, da farsi valere dinanzi al giudice ordinario (si vedano: Cass. Civ., Sez. Unite, Sentt. 7-7-1993, n. 7441 e 27-1-1995, n. 1000; T.A.R. Lazio Sez. II Quater 28/3/07 n. 2727).

In buona sostanza, per effetto dell'inutile decorso del termine di 2 anni, previsto dal su citato art. 8, comma 2, legge 5 febbraio 1992 n. 91, la Pubblica Amministrazione perdeva il potere di negare la cittadinanza, come confermato anche dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (sentenza del 7 luglio 1993 n. 4741).

Ebbene, l’art. 14 del decreto sicurezza, lettera a), stabilisce seccamente che “all’articolo 8, il comma 2 è abrogato”. Dunque l’Amministrazione può sempre negare la cittadinanza, senza alcuna possibilità che si formi un silenzio-assenso sulla domanda.

Tutto chiaro per l’avvenire; ma qual è la situazione dei procedimenti pendenti?

Se è certa la posizione di chi presenta oggi la domanda di cittadinanza per matrimonio, e delle domande che, al 4 ottobre 2018 (data di entrata in vigore del decreto sicurezza) non avevano oltrepassato i 2 anni, rimangono invece di dubbia soluzione i casi di coloro che, al 4 ottobre 2018, avevano già maturato il diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana per l’inutile decorso del termine di 2 anni previsto dalla norma previgente.

Riteniamo che la questione vada affrontata in relazione al medesimo art. 14 del decreto sicurezza, il quale prevede che “Le disposizioni di cui al comma 1, lettera c),” ovvero il nuovo termine di 48 mesi in luogo del precedente più breve di 730 giorni (2 anni), “si applicano ai procedimenti di conferimento della cittadinanza in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

Seppure è vero che l’istituto dell’abrogazione opera con effetti ex nunc - ovvero la norma abrogata cessa di avere efficacia per il futuro, ma continua a disciplinare le situazioni giuridiche precedenti – riconoscere acquisita la cittadinanza per i richiedenti la cui pratica, al 4 ottobre 2018, aveva già oltrepassato il limite di 2 anni, appare inconciliabile con il nuovo termine di 48 mesi fissato – retroattivamente - per la conclusione del procedimento.

La retroattività del termine di 4 anni determina una situazione giuridica incompatibile con la norma secondo cui “l’emanazione del decreto di rigetto dell'istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell'istanza stessa, corredata dalla prescritta documentazione, sia decorso il termine di due anni" (comma 2 dell’articolo 8 della Legge 5 febbraio 1992 n. 91).

E infatti, come si potrebbe sostenere che Tizio abbia maturato il diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana per non aver subito un diniego espresso entro il termine di 2 anni, se la legge prevede, indiscriminatamente, per tutti i procedimenti in corso, un nuovo termine di 4 anni?

Ma un margine di difesa esiste eccome.

Già di per sé la retroattività del nuovo termine di 48 mesi appare di dubbia legittimità, non avendo ragioni tali da giustificare una deroga al principio stabilito dall’art. 11 delle preleggi. Ma i dubbi crescono nella fattispecie in esame, se si considera la natura di status irrevocabile della cittadinanza, diritto fondamentale a copertura costituzionale: la retroattività porterebbe di fatto alla “revoca” di un diritto acquisito, con possibili profili di illegittimità costituzionale.

Dovremo attendere tempo affinché vi siano le prime applicazioni del decreto sicurezza in materia di domande di cittadinanza; ma probabilmente saranno retroattività della legge, abrogazione e legittimità costituzionale, i temi che l’avvocato andrà a trattare, al fine di veder riconosciuta la cittadinanza del cliente, ancora oggi, sulla base della norma abrogata dall’art. 14 del decreto sicurezza.

 

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